Alla Columbia University #Cjsm è l’hashtag, la raccolta di tweet dedicati al corso di Social Media. Un tempo roccaforte del giornalismo della carta stampata e della tv, con dietro la cattedra giganti della storia dell’informazione come Fred Friendly, il producer della Cbs che lottò contro la caccia alle streghe del senatore McCarthy e finì sugli schermi interpretato da George Clooney nel film Good night and good luck , il columnist del New York Times Anthony Lewis da poco scomparso o l’ex preside, il direttore di Newsweek Oz Elliott, oggi la Columbia Journalism School, medita la transizione verso il digitale, condivisa da ogni canale di informazione, giornale o tv. Indicare la strada verso il futuro digitale è compito di Sree Sreenivasan, docente di giornalismo digitale diventato primo Chief Digital Officer dell’ateneo, e nessuno sembra più adatto dell’ex reporter informatico, uomo globale, nato a Tokyo dove suo padre prestava servizio come diplomatico indiano, e vissuto ovunque, comprese le Isole Fiji, per lavorare infine in America.

Per capire come la creatività del XXI secolo si aguzzi online, mi sono iscritto al corso di Sree, popolare per il suo sito web, la pagina Facebook e l’account twitter@sree. Seduto nella grande classe del VI piano, con gli armadietti per gli studenti, ho riguardato gli edifici neoclassici del campus ai confini di Harlem, confesso di essermi commosso pensando ai tempi del mio Master, quando il piombo fluiva ancora possente nelle tipografie, i computer erano solo da poco «personal» grazie a Steve Jobs e internet, deposta la divisa dei suoi creatori militari Arpanet, era una serie di bullettin board dove lasciare messaggi, da raggiungere goffamente via America On Line tra fischi sonori del modem.

La nostalgia è però durata poco al seminario, lo studente più giovane un ragazzo di 19 anni che ha già un suo sito web, il più anziano un elegantissimo imprenditore della moda a New York, 72 anni e blazer blu con stemma araldico sul taschino, venuto per «imparare le diavolerie di cui si occupano i miei collaboratori». Il professor Sreenivasan, che tutti chiamano presto «Sree», e il suo pool di assistenti guidato da Linda Bernstein, illustrano opportunità e rischi di ogni social media, dal bonario – ma solo in apparenza - Facebook, al professionale LinkedIn, a Google +, a YouTube – avete mai pensato come il canale di video può aiutarvi sul lavoro? - a Twitter, diventato oggi strumento principe di informazione.

Studenti che sono professionisti affermati, il portavoce del sindaco di Rio de Janeiro venuto per imparare ogni social media prima dell’uragano Olimpiadi e Campionato del Mondo di calcio in città, siedono in classe e presentano idee e progetti, Sree e Linda li inquadrano in chiave di lavoro e cultura digitale. Quando serve il parere di un Dinosauro dell’informazione, il mio account twitter@riotta appare sul mega schermo dietro la cattedra e tocca a me, mascherato come un ripetente all’ultimo banco, dire la mia.

Ci sono studiosi come Weinberger e Shirky persuasi che il dibattito online inneschi creatività fantastiche e razionali, mai conosciute prima dall’umanità. Altri sono scettici, come il critico Evgeny Morozov o il pioniere della realtà virtuale Jaron Lanier, che nei loro recenti saggi To save everything, click here: the folly of technological solutionism e Who owns the future, dubitano delle sorti magnifiche e progressive del mondo digitale.

L’approccio del professor Sreenivasan e dei suoi studenti-docenti è diverso, creare ora una comunità concreta, reale e digitale, dove idee e lavoro sul web diventino laboratorio. Siedono tra i banchi presidi di Columbia, da Chimica a Ingegneria, giornalisti famosi, una sera passa Michael Massing della New York Review of Books, saggista premiato con il premio della Fondazione MacCarthy, tanto prestigioso da esser definito «Laurea del Genio», accanto a lui prende appunti l’editorialista del New York Times che cura la rubrica «Etica» sul quotidiano. È come una jam session del jazz di una volta, lo storico Teatro Apollo è solo nove isolati più a Nord, esperienze a confronto.

Al VI piano ha l’ufficio anche Emily Bell, una delle intellettuali che riflette sul futuro della cultura online: sorride in corridoio durante l’intervallo «Duro mestiere vivere una rivoluzione no?» con accento e saggezza britanniche. Duro, senz’altro, e doloroso, e romantico. Ma nell’entusiasmo autoironico di Sree Sreenivasan «Ci prendono in giro dicendo che siamo evangelisti del futuro? Sììì! Lo siamo! Ricordate che dieci anni fa il web ha rivoluzionato la musica eliminando i dischi, cinque anni fa ha cambiato il giornalismo, in cinque anni tocca ora all’Università rinnovarsi davanti alle lezioni online dei Moocs e di Coursera», nella serietà dei suoi studenti, avvocati, manager, docenti, funzionari, intellettuali, businessmen come Ahvi Spindell che si rimettono a studiare sui banchi per vedere come il futuro cambia la loro vita, c’è il seme razionale del futuro. Una stagione dove saremo studenti per sempre, ma dove tutti avremo sempre qualcosa da insegnare. Futuro elettronico di grande ambizione, futuro informatico di grande umiltà. Ero tornato nel mio vecchio campus un po’ ammaccato dal magnifico passato che è infine passato da Gutenberg in poi. Ne sono uscito appassionato dalla comunità «social» da ricreare subito: anche su questa pagina Tutto Libri, anche al Salone di Torino!