Donal Trump  e Bernie Sanders, i rappresentanti degli opposti estremi dello spettro politico USA, hanno vinto con ampio distacco sui rivali le primarie del Hew Hampshire; secondo atteso appuntamento della maratona elettorale che porterà alla nomina dei candidati alla Casa Bianca. Tutto secondo le aspettative stavolta: Trump dominava nei sondaggi da luglio e Sanders lo ha fatto per tutto l’ultimo mese. Il messaggio degli elettori del quinto Stato più piccolo degli USA, il nono meno popoloso, sembra essere stato chiaro, da una parte e dall’altra: no all’establishment, e senza alcun ripensamento dell’ultimo momento, come tradizionalmente ci si aspetta qui. 

Per spiegare cosa è successo in New Hampshire e cosa significa per i diversi candidati,  conviene fare un passo indietro, almeno a quando le porte delle palestre e degli scantinati delle chiese si sono richiuse dietro ai caucus dell’Iowa. Da quando cioè lo Stato dei cosiddetti Hawkeys è tornato ad essere la tranquilla “campagna d’America” di sempre. I mesi prima erano stati tutti una campagna elettorale. A un abitante dell’Iowa bastava svegliarsi la mattina per incorrere nell’annuncio di una visita in città -qualsiasi città -, da parte di uno tra i candidati alla Presidenza; o magari ritrovarselo inavvertitamente al bar preferito, con tanto di trouppe televisive al seguito. Succede ogni quattro anni, prima dell'1 febbraio, quando lo Stato del midwest statunitense apre le danze delle primarie con le quali i partiti scelgono il loro candidato alla Casa Bianca.

Ad essere precisi, non si tratta di elezioni primarie, come quelle del New Hampshire, e la precisazione non è di poco conto, perché il metodo dei caucus, quello seguito appunto in Iowa e in altri Stati, alle primarie che conosciamo in Europa non assomiglia per niente. E’ un processo che la dice lunga sull’articolato funzionamento della democrazie USA. Gli iscritti a un partito si trovano una sera nei luoghi più adeguati e esprimono il loro sostegno a un candidato. Se sono indecisi però hanno l’opportunità di farsi convincere dall’oratoria dei supporters dei diversi concorrenti. E continauno ad essere indecisi possono anche dover ricorrere al lancio di una monetina per risolvere l’empasse. Nel caso dei democratici, si assiste addirittura a un evento dagli accenni coreografici:  i votanti si raggruppano in determinati angoli della sede formando gruppi di sostegno a un candidato. Questo gruppi poi nel corso della serata acquistano e cedono componenti sotto la spinta persuasiva dei liberi dialoghi tra i partecipanti. Il tutto nel chiasso di cori da stadio degni, e forse meglio, dei match di football più combattuti.

Perché tanto clamore, tanti riflettori puntati sul 2% della popolazione di uno Stato, prevalentemente abitato da bianchi, con forti componenti evangeliche, e quindi non certo rappresentativo della popolazione degli Stati Uniti? Varie teorie, ma un solo fatto incontestabile: il vantaggio competitivo che un candidato può ottenere da una partenza avanti agli altri. Lo spin mediatico è la posta in gioco in Iowa. In aggiunta a ciò, è plausibile che dopo il primo febbraio campagnolo la rosa dei candidati si sfoltisca indicando chi è destinato a rimanere fuori dai giochi.

Quest’anno gli Iowa caucus hanno però manifestato tutti i limiti della plausibilità, perché anziché mettere qualcuno dei favoriti ai margini, hanno restiuito una situazione di sostanziale parità su entrambi i fronti. Checché ne dicano i diversi candidati, che non potrebbero fare altrimenti, il vincitori in Iowa non sono stati i vincitori, ma i secondi. Il settantaquatrenne socialista Bernie Sanders, battuto per soli 0,2 punti percentuali da Hillary Clinton, e, ancor più a sorpresa, Marco Rubio, il giovane senatore della Florida, che si è preso il 23% delle preferenze, dietro al controverso imprenditore di New York Donald Trump (24,3%) e al senatore del Texas Ted Cruz (27,6%).

Classifica corta, consegnata alle primarie  del New Hampshire, dove un primo sbilanciamento. era atteso. Sebbene la celebrazione degli Iowa Caucus sia degna di un vero è proprio election day, questo non è infatti che l’inizio di una lunghissima competizione che dopo il New Hempshire contemplerà il South Carolina e il Super Tuesday del primo marzo, quando si voterà contemporaneamente in 14 stati. Gli altri a seguire. Solo alla fine si farà il conto dei delegati che ogni candidato possiede nelle convention nazionali di partito, e solo allora si saprà il nome del candidato designato dai due schieramenti. E pensare, da italiani, che sono solo le primarie; quelle dove nel nostro Paese si va in fibrillazione per il dibattito in tv, quando  in USA se ne sono tenuti, per il momento, già 29.

Nell’ ongoing show delle primarie americane, ogni giorno ha il suo evento saliente, la figuraccia o l’inciampo di un candidato. Il giovane senatore repubblicano Marco Rubio ripete la stessa identica frase per 3 volte in 20 secondi, giusto appena dopo che l’avversario Chris Christie gli abbia fatto notare che il suo discorso assomiglia a un disco rotto. Trump ripete con ironica disapprovazione un insulto dal pubblico riservato al suo più diretto contendente Ted Cruz, per l’ennesimo, momentaneo, stupore del pubblico. Hillary Clinton è incalzata dai dettagli trapelati di alcuni suoi discorsi, compiaciuti e retribuiti, tenuti a Goldman Sachs. Cose del 2013, ma poco conta quando Sanders ha fatto di tutta la sua battaglia contro la Clinton una questione di indipendenza dall’influenza dal potere finanziario.

Sgambetti e scivoloni quotidiani, sì, ma anche messaggi, versante sul quale la campagna americana non ha paragoni, almeno rispetto all’Italia. La disoccupazione degli USA si aggira attorno ai livelli fisiologici, sotto il 5%. Come hanno dimostrato le elezioni di mid-term, che hanno azzoppato l’anatra Obama mettendo il suo partito in minoranza al Congresso, ciò non basta a guadagnarsi il consenso dell’elettorato, nemmeno "il proprio". Forse per questo a parlare di lavoro e temi sociali sono soprattutto i democratici: gli unici a fare dei livello dei salari e della tassazione, che di riflesso significa diritto all’istruzione e all’assistenza sanitaria, argomenti centrali nella loro campagna. Per la verità Sanders ha provato anche a mettere in dubbio la validità del dato “disoccupazione”, portandolo al 10% e mettendo in testa al suo programma l’aumento del salario minimo a 15 dollari/ora, ossia un raddoppio rispetto a quello che chiama letteralmente “un salario da fame” (starvation wage).

La sua campagna, tutta condotta all’insegna di concetti ironicamente definiti “radicali”, lo presenta come il candidato più progressista, cosa che per la rivale ex First Lady si è rivelata alla lunga insopportabile. Tanto da portarla a contrapporre al refrain della rivoluzione politica invocata dal socialista l’argomento della fattibilità. “Sono una progressista che fa davvero le cose”, ha osato dire la notte dei caucus. Apriti cielo (democratico). Al dibattito tv seguente i due candidati si sono contesi duramente il titolo di progressista. Sanders dice che tutte le promesse fatte (salario minimo, college gratuito, diritto all'assistenza sanitaria)  verranno mantenute con un aumento delle tasse, talvolta sui cittadini, talvolta sui profitti finanziari. I giovani (che ancora le tasse non le pagano) hanno scelto senza ombra di dubbio l’anziano old- school. Il che rileva, perché che ad alcuni giovani lo stile anni ‘70 piaccia non è una sorpresa, ma che piaccia tanto da assegnare in Iowa il 70% dei voti in più nella fascia 19- 29 anni rispetto alla Clinton, questo non se lo aspettava nessuno. E il risultato è stato simile in New Hampshire.

Insieme a ciò è da rilevare come Sanders si contenda una parte dell’elettorato con Donald Trump, che stando al New York Time intercetta il favore di quella working class preoccupata per la sicurezza dei posti di lavoro, minacciati dalle strategie di delocalizzazione in Messico. La soluzione del magnate albergatore è semplice: “costruiremo un muro, lo faremo pagare ai messicani, e ci riprenderemo i nostri posti di lavoro”.

Per il resto gli argomenti economici non sono la vera passione in casa repubblicana. Gli attentati di Parigi, e poi quello di San Bernardino, hanno aperto all’ala destra il terreno più comodo per attaccare l’impostazione democratica: l’immigrazione e la sicurezza della Nazione, temi che probabilmente non saranno più determinanti ora delle elezioni presidenziali di novembre.  Per il momento però nella memoria dell’elettorato right-wings paiono ancora freschi a sufficienza da fare dire a Trump, che con leggi più permissive sul possesso di armi, i morti e feriti  non sarebbe stato così alto.

Il primato in New Hampshire non mette in sè Trump al sicuro, ma descrive una situazione di vicinanza tra tutti gli sconfitti, con il governatore dell’Ohio, John Kasich, unica vera sorpresa, primo tra i secondi. Sul frastagliato fronte repubblicano i candidati sono almeno sei e in New Hampshire tre di loro hanno preso tra il 10,5% e l’11,5% dei voti. Con un percorso così lungo quindi, niente è assicurato.

Meno dubbi tra i democratici. La Clinton ha troppo sostegno popolare e un brand name consolidato. “Prenderà il largo al sud”, dicono i più esperti. Anche se Sanders non lo hanno di certo convinto. Soprattutto dopo il trionfo di ieri.