Un nuovo rapporto, ancora inedito, del Council on Foreign Relations calcola l’impatto prossimo dell’Intelligenza Artificiale sull’occupazione: a pagare saranno i lavoratori più semplici, camionisti o manovali, il cui salario potrebbe essere sottratto da un robot operoso. Molti studiosi, vedi John Thornhill del Financial Times, propongono allora, per combattere la povertà incombente sulle nostre economie, salari universali, con il modello che, in campagna elettorale, è stato slogan vincente dei 5 Stelle. Altri ipotizzano che i tecno-regimi del futuro, incapaci di pagare stipendi e pensioni, releghino i poveri al rango di plebe romana, con «panem», il pane del salario garantito, e «circenses», il circo videogiochi a realtà virtuale. In ogni ghetto, si presume, il sottoproletariato vivrà, su schermi 3 D, la vita felice che la realtà del XXI secolo non saprà offrire. 

Con il fiuto politico che lo porta sempre a cogliere lo spirito del tempo corrente, l’America dopo l’11 Settembre con Terminal (2004), la II Guerra Fredda con Il ponte delle spie (2015), lo scontro Trump-media con The Post (2017), il regista Steven Spielberg porta adesso la contraddizione tra miseria materiale e godimento digitale in un film giocattolone (rubo la definizione alla critica Laura Delli Colli), Ready Player One. La trama, nessuno spoiler prometto, ma siamo nella Hollywood dei buoni…, vede i derelitti di Columbus, Ohio (occhio, lo Stato in bilico che assegna la Casa Bianca a Democratici o Repubblicani), che per trascorrere le loro giornate infelici, tra cambio clima e caos economico, si avventurano in un videogioco onnivoro, detto, appunto, «Oasis», creato dal geniale informatico James Halliday. Tra i più brillanti alla consolle, il ragazzo Wade Watts, che usa l’avatar, nome nel gioco. Parzival, innamorato e rivale di Art3mis, pseudonimo di Samantha Evelyn Cook, con amicizie, duelli e amori, confusi dalle identità sessuali online, uomini e donne a cambiar ruoli. Halliday muore, e annuncia, in un video postumo che Uova di Pasqua virtuali, premi nascosti nel gioco come le monete d’oro di SuperMario o i Pokemon, daranno a chi li trova il controllo di Oasis e la ricchezza.

La caccia si apre spasmodica, ma il cattivo Nolan Sorrento (Hollywood non rinuncerà mai al vizio dei nomi italiani per i ceffi peggiori), magnate del web, vuol impadronirsi ad ogni costo di Oasis e bracca senza scrupoli Wade-Parzival e i suoi fratelli virtuali. Nei giorni in cui il sogno utopico di Facebook, unire il pianeta in una ridente, magari un po’ beota, comunità, è stuprato da intelligence ciniche di potenze maligne, quando l’illusione del 2010 ai tempi della Primavera araba – ricordate gli ingenui di allora? «I social media libereranno il mondo!» - si corrompe nella vacua iperbole opposta, «I social media rovineranno il mondo!». Spielberg offre la sua morale fiduciosa, come l’America di una volta. Wade prevale e, da conquistatore decide che Internet funzionerà a giorni alterni, con un gap di 48 ore per rimandar tutti alla «vita reale», non solo gioco-droga. 

Tratto dal romanzo pop di Ernest Cline, 2011, (tradotto da DeaPlaneta) Ready Player One divide Silicon Valley e i suoi fans, al punto che il critico del New York Times, A.O. Scott, deve minacciare di «blocco» chi lo beccasse su Twitter. Ci si agita tanto, perché Spielberg evoca il grande miraggio che tra Realtà e Virtuale Digitale ci sia, infine, una distanza invalicabile, l’utopia di Gianroberto Casaleggio, quando sperava che solo i 5 Stelle animassero il web di proposte politiche, con gli altri fuori, relegati nel passato. Non è così e i troll di Putin ce lo hanno dimostrato, senza pietà: come scrive presaga la filosofa Katherine Hayles viviamo già tutti l’epoca «transumana», perché quotidianità concreta e tecnologia informatica non conoscono confini. Il web «è» la nostra realtà, il virtuale «è» materiale, Buoni e Cattivi si fronteggiano online e offline. Se il 5 Stelle Luigi Di Maio, come Wade con Oasis, conquistasse davvero il governo, sarà il primo a rendersi conto di quanto dura possa essere questa verità.