Le dichiarazioni del leader Pdl Silvio Berlusconi su fascismo e dittatura, rese ieri nel giorno dedicato alle vittime dell’Olocausto, non sono una gaffe, ma un’indicazione di voto diretta ai settori irriducibili della destra italiana. Strati sociali e culturali, radicati nelle periferie e tra i più giovani, che trovano nel disagio e nel tam tam del web, idee, mobilitazione, propaganda. Il sociologo Renato Mannheimer indica nei sondaggi che il 6% degli elettori ex Lega guarda ora ai neofascisti mentre il 21% degli elettori Pdl è ancora incerto, con il 10% tentato dal Movimento 5 Stelle. Beppe Grillo stesso ha aperto, qualche giorno fa, ai neofascisti del gruppo Casa Pound, perché legge gli stessi dati e decide che, in una corsa drammatica, non c’è da fare troppo i gentlemen.

Sulla sostanza del giudizio di Berlusconi, ha detto bene – con sofferenza - il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna: «Le dichiarazioni appaiono non solo superficiali e inopportune.

Ma là dove lasciano intendere che l’Italia abbia deciso di perseguitare e sterminare i propri ebrei per compiacere un alleato potente, destituite di senso morale e di fondamento storico… Le persecuzioni e le leggi razziste antiebraiche italiane hanno avuto origine ben prima della guerra e furono attuate in tutta autonomia sotto la piena responsabilità dal regime fascista, in seguito alleato e complice volenteroso e consapevole della Germania nazista fino a condurre l’Italia alla catastrofe. Furono azioni coerenti nel quadro di un progetto complessivo di oppressione e distruzione di ogni libertà e di ogni dignità umana».

Il giudizio storico sui venti anni di dittatura è ormai assodato, incluso il consenso di cui a lungo Mussolini godette e che proprio le leggi razziali del ’38 e la guerra del ’40 gli fecero, in poco tempo, disperdere. Gli studi degli storici De Felice e Pavone, i libri di Primo Levi e Beppe Fenoglio lo raccontano per sempre. Il Paese distrutto, la diaspora degli intellettuali da Fermi alla Levi Montalcini, l’economia spezzata, le vittime: 313.000 militari, 130.000 civili, un milione di prigionieri tra cui 600.000 ufficiali e soldati nei lager nazisti, migliaia di ebrei deportati, pochissimi sopravvissuti allo sterminio, su una popolazione che allora era appena di 44 milioni. Non c’è ancora oggi famiglia che non pianga un lutto, una perdita. La cancelliera Angela Merkel e papa Benedetto XVI, due tedeschi, hanno ricordato con parole misurate, e di responsabilità, gli stessi eventi, ed è grave e triste che un pugno di voti basti a cancellare tanta tragica storia.

La campagna elettorale sta cancellando ogni decenza, ogni comune interesse nazionale, nascondendo con superficiale vacuità i problemi che ci attendono dal 25 febbraio in poi tra slogan, demagogia, populismo. Un dirigente di Rifondazione Comunista partecipa al funerale del capo brigatista Gallinari, membro del commando della strage di via Fani e dell’assassinio di Aldo Moro, trasformato in grottesca manifestazione politica. Di Grillo e Casa Pound s’è, purtroppo, detto. Su tutt’altro versante, le malversazioni del caso Monte dei Paschi di Siena vengono strumentalizzate, dagli opposti schieramenti e al loro interno tra fazioni rivali, non per trovare finalmente equilibrio tra ragioni dello Stato e interessi del mercato, ma per regolare conti e occupare posizioni. Una furiosa rissa da saloon cominciata già prima dello scioglimento delle Camere, con la campagna politica, tanto faziosa quanto immotivata, contro il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Il risveglio, dopo il voto, sarà brusco. Non una delle ragioni che hanno portato alla crisi del gabinetto Berlusconi nel 2011 è venuta meno. La disoccupazione giovanile, la difficoltà dei lavoratori e dei ceti medi, un sistema fiscale, una scuola e una giustizia obsoleti, imprese e burocrazie paralizzate, una classe dirigente e intellettuale avvitata su se stessa, poco coraggiosa. A leggere i piani proposti da Cgil e Confindustria, fra spunti interessanti, si nota però quanto poco scommettano sull’innovazione, sulle tecnologie, le nuove produzioni di servizi e manifattura, il digitale, cioè la ricchezza del lavoro oggi. Sindacato e imprese chiedono al nuovo governo investimenti, motivandone diversamente l’utilizzo, ma entrambi ipnotizzati dallo status quo, sordi all’irrinviabile riforma del Paese.

In questo clima, il governo che nascerà, se i sondaggi saranno confermati guidato dal centrosinistra di Pierluigi Bersani, avrà il suo da fare per reggere il timone. Guardate alla Francia, dove il presidente Hollande non ha potuto varare una sola delle misure socialiste promesse in campagna elettorale. La crisi che morde Parigi gli ha impedito perfino di tenere testa alla cocciuta austerità della Merkel, fronteggiata da Mario Draghi alla Bce e, per quel che ha potuto, da Mario Monti. Per recuperare consensi Hollande vara l’operazione militare in Mali: necessaria sì, ma gestita alla G. W. Bush, unilateralmente, ammiccando alla destra degli ultimi poujadisti francesi.

La crisi economica, dall’Ungheria alla Grecia, dalla Finlandia agli stessi Stati Uniti, lascia nella disperazione chi perde lavoro e benessere, seminando risentimento razziale, cinismo, basi ideali per destra estremista e sinistra populista. Governare sarà difficile. Berlusconi, ieri, ha sbagliato e si è allontanato ancora una volta dal centro conservatore europeo. Presto potrebbe pentirsi di aver evocato questi fantasmi, per nulla docili, sempre pronti al caos. I saggi, gli uomini e le donne di buona volontà in tutti gli schieramenti, dovrebbero ricordarsi che dopo la legittima battaglia per il consenso elettorale di febbraio, verranno una aspra primavera e un autunno caldo, in cui il paese insieme dovrà guardare oltre la crisi. È bene non scherzare con il fuoco perenne dell’odio che, come insegna la storia del Novecento, si appicca con facilità e si spegne solo dopo immani dolori e sacrifici.