Sono molto felice di aver vinto il Premio Mondello. Non sono mai stata in Italia, adoro il vostro paese, la lingua, la letteratura, il cibo!». Sorride Marilynne Robinson, la scrittrice americana, 72 anni, che con la saga dei romanzi del Midwest, Housekeeping, Gilead, Casa, Lila (Einaudi), riporta la morale cristiana al centro del racconto, in un’epoca in cui narrativa e Dio sembrano perduti in Europa e smarriti in America. Il presidente Barack Obama, che l’ha insignita della National Humanities Medal e la considera «un’amica», dice di lei, in una conversazione sulla New York Review of Books «Sei una romanziera, ma anche, posso dirlo?, una teologa, o ti sembra troppo pomposo? Il pensiero cristiano ti sta a cuore, molto».  

Da Iowa City, dove lavora allo storico laboratorio Iowa Writers’ Workshop, la Robinson non contraddice il presidente: «Teologa? Va benissimo, non dò importanza alle etichette. Nella vita ci sono, da sempre, cose che mi affascinano, la narrativa è una, la religione e la teologia altre. Non le vivo separate, sono parti della mia esistenza. In America, da 25, 30 anni, si afferma un’idea di religione fondamentalista, la nazione intera si innamora della fede nello stile ostico del vecchio Sud. La fede non è più comunità che accoglie, ma strumento per scacciare. Accendo la televisione e ascolto, basita, gente che nulla sa del cristianesimo inveire e accusare in nome della nostra fede. Le grandi chiese protestanti, sono stata educata da presbiteriana, ora sono congregazionalista, e gli stessi cattolici, non hanno reagito con la forza necessaria contro il fondamentalismo. Il risultato non è positivo». 

Negli Usa, però, la religione è rimasta parte del tessuto civile, pur con la corruzione dei fondamentalisti, e si pubblicano libri come i suoi, dove i personaggi, vedi il reverendo Ames di Gilead, lottano con i temi cruciali del Bene e del Male. In Europa le chiese si svuotano, dopo la Scandinavia, perfino in Italia e Spagna e da questa prateria secolare sbucano romanzi esangui, smidollati. «Leggo anche io le cifre di cui parla, ma quando viaggio in Europa, di recente Irlanda e Catalogna, vengo circondata da gente che si appassiona ai miei temi, e dunque trovo un’atmosfera congeniale per me. Per ora resisto». 

L’etica su cui si tormentano i suoi personaggi, il reverendo John Ames, la giovane moglie Lila, il «figliol prodigo» Jack Boughton, di cui Ames è geloso, è tradizionale, comunità di cittadine come Gilead, in Iowa. Si prova a fare il bene, ci si macera davanti al male. La campagna elettorale per la Casa Bianca 2016 sembra diversa. Il socialista Sanders è il primo candidato di cui non sia chiara l’affiliazione religiosa, tra i repubblicani il battista Ted Cruz usa la fede come un reticolato e Donald Trump di fede, speranza e carità, per ora, non parla. 

Segue la politica?  

«Ogni giorno leggo le notizie, per due ore, e la brutale velocità con cui il nostro paese si è diviso mi ha stupito, ha stupito tutti noi, il presidente Obama me ne parla sempre. Anni di lacerazioni, sono preoccupata. Sanders non vincerà la nomination e Trump, anche se la vincesse, non arriverà alla Casa Bianca, non muoverebbe un dito né per il ceto medio impoverito, né per la classe operaia senza lavoro. Ma in una democrazia, in questo io credo che la sterminata America non sia diversa da una cittadina come la mia Gilead, le elezioni sono una grande operazione di verità, un libro ricco di informazioni sul presente. Lo scontento che ha animato, con speranza la campagna di Sanders e con acrimonia quella di Trump, parla di noi. Obama dice, a ragione, che la globalizzazione ha tratto milioni di uomini dalla povertà in Asia, ma nel mondo sviluppato, senza regole, ha degradato la vita di tante famiglie. La rabbia che ne segue, l’angoscia che i figli non possano crescere sereni, porta al populismo di Trump, che non sottovaluto affatto». 

 

Nella vostra conversazione per la New York Review, documento senza precedenti con un presidente in carica faccia a faccia con una scrittrice, lei si dice più pessimista di Obama, il presidente vede speranze, lei meno.  

«Sì, è così e spero che il presidente abbia ragione! Lui è una persona migliore di me! È vero che le comunità di base, che i talk show e il web non sanno vedere, sono popolate da donne e uomini che si curano degli altri. Obama ammira le persone religiose, dedite al servizio, non all’idolo neoliberista. Io a volte dispero, il presidente dice - Guarda che meraviglia una grande metropoli, la mattina tutto funziona, milioni di persone fanno il loro dovere per gli altri con semplicità - ecco, magari non sarà il precetto evangelico che io considero super umano “Ama il prossimo tuo come te stesso”, ma conta. Spero torneremo a credere che il prossimo abbia diritto di essere amato come noi». 

 

Papa Francesco predica questi sentimenti: come lo ascolta lei, credente protestante che invita a «rileggere il teologo Giovanni Calvino che nessuno legge più»?  

«Il papa ha compreso che nel XXI secolo dobbiamo incoraggiare l’umanità al meglio, già troppi predicatori la istigano al peggio. Ai miei incontri i cattolici sono in prima fila, condividiamo la ricerca di Cristo». 

 

Lei, nata in Idaho vive in Iowa: quante contraddizioni in questa Middle America, la città in cui è cresciuta, Coeur d’Alene è culla di estremisti razzisti, l’Iowa resta terra di tolleranza.  

«Tra le due coste c’è un paese immenso, con città post industriali, da Chicago a Minneapolis, ma non siamo isolati, mai. Da qui vengono i grandi scrittori, da Fitzgerald in avanti. In Inghilterra c’è Londra, in Francia Parigi, noi abbiamo questa terra gigantesca. Venga al laboratorio in Iowa e capirà quanto il paese sia ricco di energie». 

 

Un laboratorio da cui son passati 17 premi Pulitzer, inclusa la Robinson, e maestri come Warren, Cheever, Roth: allora ci vedremo in Italia Mrs. Robinson?  

«Lo spero! La logistica non è definita, ma devo approfittarne per leggere finalmente i libri di Elena Ferrante, qui tutti ne parlano, sono in ritardo…».