Il Dalai Lama dice di aver perso «un amico». Per Papa Francesco Nelson Mandela era maestro di «dignità, non violenza, riconciliazione». Per il leader Usa Barack Obama, commosso, «l’esempio di tutta la mia vita». Il presidente Giorgio Napolitano assicura: «I suoi ideali sopravviveranno», attento a spostare l’attenzione dall’uomo all’opera.

L’ex premier Silvio Berlusconi considera il premio Nobel «eroe della libertà», con sottile polemica «tanti che ne tessono le lodi hanno da imparare da lui». Per Raul Castro, se ne va «un caro compagno» di Cuba. Il leader russo Putin e il premio Nobel Gorbaciov, la cancelliera tedesca Merkel, la Regina Elisabetta II, il presidente francese Hollande, gli ex rivali per la Casa Bianca Bush padre e Clinton, Bill Gates di Microsoft, il padrone del calcio Blatter, le cantanti Beyoncè, Rihanna e Lady Gaga, tutti rivolgono le stesse parole di rispetto, omaggio e venerazione al profeta della libertà d’Africa.

Nessun leader politico del Novecento ha raccolto un simile consenso. Alla morte del grandissimo presidente americano F.D. Roosevelt fa in tempo a gioire Hitler. De Gaulle e Churchill soffrono nei necrologi le divisioni di Guerra Fredda e post colonialismo. Anche il padre della non violenza Gandhi suscita odio tra i musulmani, la sua idea di castità è giudicata «sbagliata e rischiosa» dal successore Jawaharlal Nehru, mentre il primo ministro dello Stato indiano pre indipendenza Travancore è rude «Gandhi è un pericoloso maniaco sessuale».
Malgrado i non pochi guai familiari, chi oserebbe scrivere frasi del genere su Mandela? Nessuno. Gli elogi toccano il diapason del grottesco quando il dittatore siriano Bashar al Assad, che ha massacrato decine di migliaia di connazionali, disperdendone milioni come profughi, fa scrivere sulla sua pagina Facebook «la storia della lotta di Mandela è ispirazione per tutti i paesi vulnerabili al mondo, nell’attesa che oppressori ed aggressori imparino la lezione: alla fine saranno loro a perdere».

La «contraddizione Mandela» è brusca in Cina. I leader di Pechino paragonano Mandela al fondatore della Cina popolare Mao Ze Dong, il presidente Xi Jinping detta all’agenzia Xinhua un dispaccio tradizionale «Profondo dolore… il popolo cinese ricorderà per sempre lo straordinario contributo alle relazioni bilaterali e alla causa del progresso umano». I commenti ufficiali, commossi, segnalano che Mandela amava leggere il reportage filo-maoista del giornalista Snow «Stella rossa sulla Cina» e «L’arte della Guerra» dell’antico stratega Sun Tzu. Ma ai tempi dell’Urss, quando il Cremlino piangeva un alleato scomparso, nell’immenso Arcipelago Gulag dei campi di concentramento, si festeggiava in silenzio annota il Nobel Solgenitsin
Invece, secondo il blog Sinosphere degli analisti Austin Ramzy e Mia Li, anche i dissidenti cinesi commemorano Mandela addolorati. Lo scrittore antiregime Liu Xiaobo ricevendo il Premio Nobel nel 2010 è paragonato per il suo coraggio morale proprio all’ex presidente sudafricano. Gao Xiaoliang, con addosso sentenze di due e poi nove anni per la campagna democratica del 1989 a Pechino, racconta di essersi ispirato a Mandela per tenere duro in galera: «Se Mandela non s’è arreso dopo 27 anni dietro le spalle, posso io cedere dopo soli 9?». L’attivista Hu Jia apprende in carcere che Mandela è diventato presidente e gioisce, né lo condanna quando poi, al potere, stringe patti diplomatici ed economici con Pechino: «È giusto, deve pensare al progresso del suo paese». Tocca – conclude Sinosphere - allo scrittore He Baoguo irridere il doppio standard del governo cinese: «Se Mandela fosse nato in Cina, l’avrebbero torturato in cella, costretto a confessione forzate, umiliato alla tv pubblica: poi nessuno avrebbe più sentito parlare di lui» scrive sul social network Sina Weibo.

Basta dunque raschiare il consenso e la commozione di superficie per vedere che Nelson Mandela, da morto come da vivo, unisce chi si batte per la libertà e costringe alle corde dell’ipocrisia chi di diritti parla, negandoli poi ai suoi cittadini. Chi oggi riguardi le prime pagine dei giornali nel 1976, alla morte di Mao Ze Dong, resta stupefatto per la glorificazione di un leader che riunisce sì il Paese, ma a costo di milioni di morti e dittatura inflessibile. Pochi ne fecero allora traccia, parlando «dell’ultimo dei Grandi», ora la Storia è con Mao severa.
Ieri invece con i leader piangeva la gente semplice, «l’unico gigante del nostro tempo» diceva a Roma un barista. Ha ragione, gli studiosi registreranno nuove memorie, documenti, interpretazioni, ma la grazia, la riconciliazione, la compassione, la sete di giustizia Nelson Mandela, come dice il presidente Napolitano, resteranno immuni da revisionismi.