La corsa del Jobs Act è quasi conclusa; nei prossimi mesi le principali novità per il mondo del lavoro verranno dalla contrattazione collettiva. La nuova stagione di negoziati è attesa come banco di prova dell’effettiva eco del modello Fiat sulle relazioni industriali italiane. Si vedrà da un lato quale sia lo stato di salute della contrattazione nazionale, mentre a livello aziendale si guarda con interesse al gruppo FCA per capire se il nuovo contratto, che verrà firmato plausibilmente i primi giorni di luglio, contribuirà al consolidamento di una nuova cultura aziendale partecipativa. Inoltre, proprio dai sindacati firmatari degli accordi con Fiat-Chrysler, ha preso il via il dibattito sulla necessità di una nuova unità sindacale; proposta che, con la lettera inviata da Susanna Camusso ai segretari di Cisl e Uil, si è trasferita a livello confederale.

Nonostante lo scenario interno sia ritenuto particolarmente sintomatico degli sviluppi futuri di FCA e del sindacato italiano, qualche dato importante viene anche dagli USA. I nuovi negoziati di Fiat-Chrysler con lo United Auto Worker, in sindacato dei lavoratori dell’auto, si stanno infatti guadagnando un'inusuale attenzione anche oltreoceano, dove Sergio Marchionne è tornato a fare parlare di sé. Questioni di cui nel nostro Paese si sente parlare poco, nonostante i destini dei lavoratori nei due diversi continenti siano ormai intimamente intrecciati.

FCA cerca moglie

Vediamo perché. Negli ultimi mesi l’AD canadese ha assunto un comportamento eccentrico nel panorama dei top manager. Già il 29 aprile Marchionne aveva sorpreso tutti trasformando la tradizionale relazione dei risultati di fronte agli investitori in una sorta di manifesto dal titolo “confessioni di un drogato di capitali”. Qui aveva espresso l’auspicio di un consolidamento del settore automotive che a molti era sembrato tradire profondi timori per le sorti dell’azienda. Quale amministratore avrebbe mai esposto tanto esplicitamente la necessità di unirsi ad un concorrente per contenete i costi di sviluppo?

A poco erano valse le precisazioni dell’Amministratore delegato volte a sottolineare come la visione riguardasse l’intero settore, e non solo FCA. Soprattutto perché a maggio si è appreso dal New York Times che prima ancora delle “confessioni” Marchionne aveva inviato a Mary Barra, CEO di General Motors, una lettera, mai confermata né smentita, contenente una dettagliata analisi dei vantaggi di un’unione tra le due società. La proposta era stata schiettamente rifiutata, senza che ciò avesse indotto Marchionne a desistere. Anzi, l’AD ora rilancia quotando a Wall Street il 10% di Ferrari, definita da lui stesso una “fenomenale carota” per gli investitori.

È però guardando la mossa dell’AD nel contesto delle cifre di FCA che il dubbio di una corsa alla cura si fa evidente. Basti pensare che GM ha una capitalizzazione di 56 mld $ contro i 20 di FCA, e che sebbene le vendite di questa negli Stati Uniti siano raddoppiate dal 2009,  le vendite del 2014 nel mondo sono state ancora solo di 4.6 million di veicoli, circa la metà dei suoi competitor diretti (GM e Volkswagen).

La UAW dice basta

Tutto ciò non sarebbe comunque sufficiente a spiegare tanta determinazione. La situazione si comprende meglio se si prendono in considerazione anche i rapporti con il sindacato, cosicché le vicende di questi giorni si possono riallacciare direttamente alle origini della fusione con Chrysler.

Nel 2009, quando dopo il rifiuto di tutte le altre case Fiat aveva accettato l’offerta del governo americano di contribuire al salvataggio di Chrysler, lo UAW aveva avuto un ruolo fondamentale, perché le precarie condizioni finanziarie permisero all’azienda di ottenere la possibilità di fare ricorso illimitato all’assunzione di nuovi lavoratori (i cosiddetti Tier 2)retribuiti molto meno dei dipendenti “anziani” (19 dollari contro 28).

Secondo il New York Times, FCA non avrà vita così facile quest’estate, quando dal 14 luglio ripartirà la contrattazione nella sezione Detroit/3.

Anche nel 2011 infatti, anno dell’ultimo contratto siglato, la casa diretta da Marchionne ottenne facilmente delle concessioni, principalmente perché il settore era agli inizi della ripresa. Oggi che FCA e le altre compagnie hanno risanato i loro bilanci, il sindacato punta però a mettere fine all’impiego indiscriminato dei Tier 2. L’obiettivo minimo per la UAW, è quello di introdurre delle soglie per l’assunzione di questi lavoratori oltre le quali la retribuzione debba essere piena per tutti.

Marchionne dal canto suo punterebbe a un riassorbimento graduale dei Tier 2, ma al ribasso, favorendo cioè il prepensionamento dei “veterans”.

Secondo gli analisti, FCA verrebbe particolarmente colpita da un limite alla sua politica salariale. Innanzitutto perché i contratti in vigore tra la UAW e le altre due altre case automobilistiche di Detroit (Ford e GM) prevedono già questi tetti. In GM inoltre la percentuale di nuovi assunti è del 29% del totale, mentre in Ford arriva solo al 20%. Secondo la UAW in FCA si registra invece il 45% di nuovi assunti.

La questione diventa poi cruciale se si considera che il costo del lavoro è la vera arma competitiva di FCA negli USA, dove l’azienda pare in ritardo sia nella produzione di veicoli a basse emissioni, sia nella conquista di quote del mercato cinese. Il costo del lavoro medio in FCA secondo lo UAW è di 48 dollari l’ora, 7 dollari inferiore a quello di Ford e ben 10 rispetto a GM.

Altro segnale della criticità della situazione è stato l’abbandono a sorpresa il 9 giugno del responsabile del personale e negoziatore nel 2009 e 2011 per FCA, rapidamente sostituito da Glenn Shagena.

Ci si chiede quindi ora se il nuovo negoziato con i sindacati possa salvare i margini sul costo del lavoro mantenuti durante tutti questi anni, visto che dal 2011 la retribuzione oraria complessiva in FCA è aumentata meno dell’1% annuo, mentre quella di Ford e GM è cresciuta quasi quanto l’inflazione.

Uniti si vince, uniti si risparmia

Tutto sommato il paradigma dell’unificazione si presenta nel dibattito pubblico dei due Paesi su sponde opposte. In Italia si è cominciato a discutere di unità del sindacato guardando al modello americano, proprio a partire dagli ultimi accordi siglati negli stabilimenti FCA sulla retribuzione variabile. Negli States, dove il sindacato è già non unitario, ma unico, “l’unione fa la forza” (e abbatte i costi) è diventato invece il motto di Marchionne.

In ultimo, pur considerate le differenze tra i due sistemi di relazioni industriali, sindacato americano e sindacato italiano assumono oggi comportamenti quasi opposti. In Italia si rivendicano prevalentemente la responsabilità e la lungimiranza degli accordi siglati a partire da quello di Pomigliano nel 2010, dimostrate secondo i sindacati firmatari dagli investimenti e dalle assunzioni recenti. Negli USA invece quella Union che Marchionne nel 2014 disse “aver compreso perfettamente” l’azienda, a condizioni finanziarie mutate ora avanza nuove rivendicazioni. Le ricadute però, infondo, sono sullo stesso bilancio.