Caro Riotta,

con le primarie in America si apre la battaglia per il dopo Barack Obama. Sono passati otto anni da quando è stato eletto e penso che si possa, anzi si debba, fare un bilancio.  

L’impressione è che Obama abbia vissuto di aspettative, e non parlo solo del Nobel per la Pace. Quali sono le battaglie che aveva promesso di combattere e ha vinto? E quali gli obiettivi da raggiungere centrati? Chi infine, secondo lei, potrebbe meglio raccogliere il suo testimone? Il mondo ha bisogno di un’America più simile a quella che sogna Obama rispetto a quella che volle George W. Bush. Un’America che sappia dialogare e sappia chiedere anche scusa.

Vittoria Conti

 

Gentile Signora, sarebbe sbagliato imputare al presidente Obama le illusioni che troppi gli hanno affibbiato, con foga ingenua, interessata o militante.  

Quando venne eletto, nel 2008, chiunque detestasse il presidente Bush figlio era certo che a Barack Obama bastasse predicare con cerebrale, carismatica, cadenza, «Non sono GWB!», e il mondo finalmente si sarebbe innamorato degli Stati Uniti. Lo slancio fu così caloroso che lo stesso distaccato presidente dovette venirne ipnotizzato. I discorsi a Berlino 2008 e all’Università del Cairo 2009 sono ricchi di questa retorica certezza, rivolta ad Europa e mondo islamico: fidatevi dell’America, Bush figlio esce di scena. 

Il mondo, ahinoi, è tornato presto ostile e sordo. La guerra civile sunniti-sciiti dilaga, la Casa Bianca non ha amici in Medio Oriente, gelo perfino col premier israeliano, Putin ingoia la Crimea e circonda l’Ucraina, dà rifugio all’ex agente Nsa Snowden, mentre gli europei impongono tasse e tariffe sulle aziende Usa e la Cina pattuglia in armi il Pacifico. 

In Siria Obama ha fallito, come sottovalutando Isis, perché un Presidente non può mai mancare di parola, pena perdere credibilità.  

Otto anni perduti dunque? No. Stabilizzando l’economia d’intesa con la Federal Reserve, con l’agognata riforma sanitaria e gli accordi con Cuba, Iran e il patto commerciale del Pacifico, il palmarès di Obama non è vuoto.  

La Storia ricorderà la grazia con cui ha infranto il razzismo che teneva i neri fuori dalla Casa Bianca, ma anche la mancanza di tattica con il Congresso, dominato da estremisti repubblicani. «Ci sarebbe voluto il talento di Lincoln o Roosevelt» ha ammesso modesto Obama. Non li ha mostrati, lascia divisa l’America che si illuse di riunire. Il suo posto nella Storia è ricco dunque di ombre e non solo dell’abbagliante luce che l’accolse. Chi merita ora il suo posto? Siamo appena alla partenza della maratona politica più dura, vedremo chi sarà degno di governare l’America!