Il due settembre l’America celebra il week end di Labor Day, che chiude la stagione estiva, il 5 il presidente Barack Obama va a San Pietroburgo, in Russia, per il G 20, ma senza summit bilaterale con il leader russo Putin.

Dopo le dichiarazioni di ieri del segretario di Stato John Kerry, la finestra per l’attacco contro il regime siriano di Bashar Assad, in punizione per l’uso di gas vietati dalla Convenzione del 1925, cade in questi giorni. Obama e Kerry hanno inquadrato la tattica del blitz, non far cadere il presidente Assad – si teme che il vuoto di potere a Damasco sia occupato da salafiti, fondamentalisti e jihadisti-, non distruggere l’arsenale chimico, custodito in bunker resistenti ai missili Cruise Tomahawk, ma degradare gli aeroporti, le rampe di lancio di missili, gli aerei, i radar, incoraggiando i ribelli sul campo. Scopo dell’operazione è dimostrare ad Assad, Putin, la Cina e l’Iran che il presidente mantiene la parola, e forzare il regime alawita a trattare. Una Conferenza di pace convocata mesi fa fu boicottata da Mosca e fallì senza cominciare. Oggi, sabato, gli ispettori Onu lasciano la Siria, la prudenza dominerà fino alla loro partenza per presentare il rapporto al Segretario generale Ban Ki Moon.

Nell’agosto 2013 tutti stanno ricombattendo, come si diceva dei generali di una volta, la guerra del passato, si parla di Siria, si pensa all’Iraq. Gli inglesi hanno bocciato in Parlamento, il premier Cameron per punire, retroattivamente, il premier laburista Blair che andò in guerra in Iraq con il presidente repubblicano Bush. I francesi, deprecati dieci anni fa sui tabloid Usa come «scimmie» per il no del conservatore Chirac a Bush, sono oggi elogiati da Kerry come «i nostri più antichi alleati» perché il presidente socialista Hollande vuole colpire Assad, persuaso che lasciare impunito l’uso di gas in Medio Oriente porti a una tragica escalation dal Libano all’Iran.

Dieci anni fa Bush veniva condannato come «unilateralista» in Iraq, oggi il premio Nobel per la Pace Obama, che ha predicato multilateralismo nelle università arabe, in Germania, ovunque, è più solo di Bush figlio, che aveva almeno dalla sua Regno Unito, Spagna, Italia, e perfino intellettuali democratici da Havel a Hitchens a Berman al Nobel Ramos-Horta. Obama, che si è illuso di rappacificare l’America con il mondo, è solo, a bordo campo la Germania in vigilia elettorale, a bordo campo Italia e Spagna concentrate sulla crisi interna. Dell’Onu, Obama parla con una durezza, una frustrazione, che mai lo stesso Bush ha usato contro le Nazioni Unite «inefficaci, con il Consiglio di Sicurezza bloccato». La crisi economica 2008 germina isolazionismo, ogni paese per sé, un grave male nel mondo globale.

Sulle riviste accademiche, a lungo, infurierà il dibattito su prove legali, diritto internazionale, alleanze, dottrina dell’intervento umanitario, ma la parola è ora alla politica e alle armi. Se Obama, colomba in politica interna falco in politica estera, non agisce dopo avere intimato ad Assad di non usare i gas, la sua credibilità è dissolta e i suoi nemici, nel mondo e nel Congresso Usa, lo sbraneranno. Reagan in Libano 1983 e Libia 1985 e Clinton in Kosovo 1995 gli danno precedenti di interventi unilaterali che non spaccano l’America come l’Iraq 2003. Obama ripete «Non manderò truppe in Siria», il veterano decorato del Vietnam Kerry ammonisce «Dopo 10 anni l’America è stanca di guerra, io sono stanco di guerra», ma la scelta dell’inazione sarebbe la fine della presidenza Obama e dei suoi, esagerati dagli ingenui, sogni di armonia planetaria.
Cinque cacciatorpedinieri Usa della classe Arleigh Burke, ciascuno armato con circa 35 missili cruise Tomahawk, sono al largo della Siria. Non dovrebbero partire bombardieri, ma solo missili, non contro i siti chimici ma contro aeroporti. Esperti militari calcolano in un centinaio i missili che verranno lanciati sui bersagli siriani, ma i piani cambiano ogni ora.
Sia Obama che Hollande sanno che la crisi siriana non ha soluzione militare. Sono coscienti dei rischi, Assad può perdere la testa, lanciare rappresaglie contro la sua popolazione non alawita o contro Israele. Russia, Iran, Hezbollah in Libano possono favorire focolai di guerriglia e violenza. Ma due leader di sinistra, il democratico speranza della «New America» e il socialista della «Nouvelle gauche» europea, sono persuasi che venti anni di diritto umanitario, dai Balcani all’Afghanistan, verranno cancellati se si lascia passare un attacco con i gas senza reagire. Gli americani sono divisi, 50% a 50%, una sottile maggioranza dice si a un attacco solo aereo. I francesi sono altrettanto divisi, ma la maggioranza degli elettori del centro-sinistra appoggia Hollande.

Come è cambiato il mondo in dieci anni! Ieri le teorie dei neoconservatori di Bush, oggi i pragmatici liberal di Obama. Ieri l’aristocratico ministro francese Dominique Marie François René Galouzeau de Villepin, che in suo saggio aveva scritto di esaltarsi al profumo della violetta «Fiore di Napoleone» diventò icona dei pacifisti, oggi la stampa popolare Usa fa del socialista Hollande il nuovo generale Lafayette che soccorre Washington.
Propaganda ieri, propaganda oggi, conta zero. In Siria non ci sono soluzioni buone, ottime o perfette, solo cattive, pessime o tragiche. Russia, Cina e Iran optano per lo status quo pro Assad. L’Onu è grippata, Londra, Berlino, Roma, Madrid hanno altri guai. Obama, solo con il nuovo compagno Hollande, prova un colpo di mano, solo tattico, a smuovere la situazione. Scommette sulla «cattiva soluzione», sperando di non scatenare la tragica, come dalle loro tombe appena scavate testimoniano le 1.429 vittime innocenti dei gas, 426 bambini.