«Oggi ci sono 600 milioni di euro in 3 anni per l'aumento del credito d'imposta per i giovani ricercatori. Il nostro obbiettivo è raddoppiarli e creare entro il 2018 100mila posti di lavoro». Così diceva Mattero Renzi a marzo durante quella che è già passata alla storia della comunicazione politica come la “conferenza delle slide”. Quella de #lasvoltabuona, che però, per quanto riguarda l’incentivazione pubblica alla ricerca privata deve ancora attendere.

 La voce di spesa “ricerca sviluppo” costituisce nel disegno di legge di bilancio 2015 la terzultima voce su sedici per entità, con uno stanziamento di 300 milioni di euro. Durante la conferenza stampa dedicata il governo si è quindi limitato a mettere nero su bianco non un raddoppio, ma un “più risorse per ricerca e innovazione”. Un aumento di 100 milioni rispetto alla dotazione media annuale già prevista.

Anche i criteri di concessione subiscono modifiche di difficile ponderazione rispetto a quanto previsto da Decreto Legge n. 145/2013. La normativa precedente incentivava investimenti più concentrati (almeno 50mila euro con incremento misurato rispetto all’anno precedente), ma fino a ricevere un massimo di 2 milioni e mezzo annui di credito. Il ddl stabilità 2015 invece concede fino a 5 milioni annui, con una spesa minima di 30mila euro, ma considera solo gli incrementi di spesa rispetto alla media dei tre esercizi precedenti, incentivando quindi investimenti crescenti.

È positivo il fatto che il disegno di legge solleciti una ricerca più strutturata ed accessibile anche alle PMI, di cui è costituito il tessuto industriale italiano. Stiamo parlando però di contributi ipotetici, non solo per quanto riguarda le nuove norme, bensì anche per quelle già vigenti. Le disposizioni del DL 145/2014 sono ancora in attesa di decreto attuativo, come si può leggere nella nota di aggiornamento del DEF deliberata dal Consiglio dei Ministri solo il 30 settembre scorso. Se quelle norme non hanno quindi ancora conosciuto l’operatività ora che è già trascorso quasi un anno del periodo che interessano, è legittimo avanzare qualche dubbio anche sui tempi dell’entrata a regime del nuovo assetto del credito d’imposta.

È poi un segnale positivo il fatto che le le risorse destinate all’incentivazione di ricerca e sviluppo vengano aumentate. Molti sottolineano le previsioni a favore delle start up e del digitale, come il patent box (ossia la rinuncia dello Stato alle maggiori entrate sui brevetti allo scopo di permettere lo sfruttamento dell'innovazione) e lo cessione delle frequenze per il Supplemental Down Link inseriti proprio nel ddl di stabilità.

Tuttavia basta un confronto con i dati storici della spesa in ricerca sviluppo (conteggiando sia spese business funded sia spese government funded) effettuata nelle altre grandi economie europee e mondiali per rendersi conto del permanente ritardo dell’Italia. Una semplice elaborazione grafica dei dati Eurostat, mostra come il nostro Paese si collochi costantemente all’ultimo posto almeno dal 2002. 

(Fig. 1)

A dire il vero, anche l’area Euro nel suo complesso non può considerarsi competitiva su scala globale e dovrebbe prestare attenzione all’avanzata della Repubblica cinese (figura 3)

(Fig. 2)

La strategia di Lisbona aveva definito l’obiettivo di destinare il 3% del prodotto interno lordo alla ricerca entro il 2010. Il target non era però stato raggiunto ed è quindi stato mantenuto quale uno dei cinque punti chiave della strategia Europa 2020.

Se si considera infine che questa legge di stabilità è disegnata in buona parte come leva economica al sostegno del c.d Jobs Act, la manovra è da osservare anche dal punto di vista del nesso strategico tra innovazione e incremento dell’occupazione a lungo termine . L’ormai best seller dell’economista Enrico Moretti (La nuova geografia del lavoro) sostiene che nel mercato USA, per ogni posto di lavoro generato nei settori ad alta intensità di capitale umano se ne generano altri 5 in settori limitrofi e nei servizi locali. Anche tralasciando l’effetto moltiplicatore, dove c’è ricerca e sviluppo c’è occupazione.

Le piccole e medie imprese italiane sembrano esserne consapevoli. L’ 1 e 2 ottobre si è tenuto il XIV Forum Piccola Industria di Confindustria dall’eloquente titolo “Innovare è l’impresa”. Secondo i dati illustrati durante l’evento, una piccola-media impresa su 3 tra quelle che hanno investito in ricerca e innovazione dichiara un’incidenza positiva sull’impiego di personale fino al 10%.

Una relazione che anche i dati Eurostat sembrano confermare se si osserva che l’ordine dei paesi nella classifica per tasso di occupazione (fig.2) corrisponde in buona parte a quello della classifica per percentuale di spesa in ricerca e sviluppo (fig. 1)

(Fig. 3)

Pur all’interno della penuria di risorse allocate, il disegno di legge di stabilità non trascura completamente questa relazione. La legge di stabilità aggiorna l’incentivazione dell’investimento in capitale umano prevedendo lo sgravio contributivo mirato all’impiego di figure professionali che possono portare alto valore aggiunto alla produzione. Ai fini della determinazione del credito d'imposta saranno infatti ammissibili “le spese relative a personale altamente qualificato impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo in possesso di un titolo di dottore di ricerca, ovvero iscritti ad un ciclo di dottorato presso una università italiana o estera, ovvero in possesso di laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico”. Positivo che in questi casi, come nel caso di stipula di contratti di ricerca con le università, il credito d’imposta raddoppi, passando al 50%.

Anche a questo riguardo a preoccupare sono però i tempi, fattore competitivo quando si parla di innovazione. Basti pensare che una misura simile prevista dal governo Monti era stata recentemente sbloccata, con ampio ritardo, lasciando una stretta finestra (15 settembre - 31 dicembre 2014) per le assunzioni di dottori di ricerca già effettuate tra giugno 2012 e dicembre 2012. Ma con questa tempistica si tratta ormai di un premio ex-post, piuttosto che di un incentivo.

Se l’impanto incentivante del ddl stabilità sul fronte della ricerca è quindi qualificato da accorgimenti che promuovono comportamenti strategici da parte di aziende e centri di ricerca, sembra che il Paese sia comunque destinato ad attendere sia l’avvicinamento agli altri “grandi” per percentuali di spesa, sia quella tempestività degli adempimenti amministrativi, condizione necessaria ad innescare davvero il ritmo de #lasvoltabuona.