Secondo uno studio pubblicato da Deloitte per la FIMI (Federazione dell’Industria Musicale Italiana), “per la prima volta lo streaming (tra audio e video cresciuto del 95%) ha superato il download - sceso al 18% - e rappresenta oggi il 55% dei ricavi del digitale, rispetto al 34% del 2013”. Grazie ai nuovi servizi di musica streaming online (Spotify e Deezerin primis), dunque, la maggior parte degli ascoltatori usufruisce ormai di una delle loro versioni standard (per capirci, quelle contenenti pubblicità tra una canzone e l’altra) piuttosto che acquistare album o singole canzoni su iTunes. Perché pagare un prodotto che posso sfruttare gratuitamente se lo ascolto su YouTube o su Spotify si chiedono i consumatori? La risposta è ovvia.

I grandi nomi presenti nel mercato discografico comprendono l'obiezione, etichette in prima linea. Come reagiranno? Forse potenziando lo streaming a pagamento), smettendo di pretendere che la maggior parte degli introiti derivino dal download digitale.

Uno studio di Crédit Suisse dal titolo “Global Music” conferma questa ipotesi: “Ci aspettiamo che i clienti che pagheranno per un servizio streaming passeranno, in tutto il mondo, dai 14 milioni del 2013 a 148 milioni nel 2025”. Il tutto comprendendo una crescita delle entrate compresa tra il 50% e il 60%.