Ci siamo tanto abituati ai fallimenti della diplomazia, in Siria, in Libia, in Iraq e Afghanistan, sui rifugiati, che lo straordinario successo degli accordi sul clima a Parigi può suscitare dubbi, indifferenza, scetticismo: “Non sarà mai applicato, come i protocolli di Kyoto, i paesi poveri bruceranno carbone per crescere come ripete il leader indiano Modi, lo standard di vita occidentale resta insostenibile per l’ambiente” dicono i blog cinici .

Tutto vero, ma il lettore non si lasci ingannare, la carta di Parigi ricorda al nostro deluso XXI secolo che sì la vecchia diplomazia, l’arte che fu del passato, con i conciliaboli delle cancellerie, i colloqui riservati senza telecamere e twitter, può ancora dar risultati, se le potenze che partecipano al negoziato sanno conciliare, con intelligenza, interessi, valori e rapporti di forza in partenza irriducibile. Grandi potenze e piccole comunità, come le isole Marshall o le Maldive minacciate dalla piena degli oceani nell’effetto serra, nazioni pioniere all’alba della rivoluzione industriale e nazioni rurali oggi, hanno condiviso l’allarme per il cambio climatico.

Mentre gli ultimi polemisti fracassoni si accaniscono a negare l’evidenza, a caccia di una copia, un click, un punto di audience in più, la comunità internazionale trova un suo raro –e speriamo non effimero- momento di responsabile unità. Il presidente americano Obama e il suo segretario di Stato Kerry si son battuti come leoni, malgrado a Washington l’opposizione resti diffidente (Trump e Carson non credono al cambio climatici).

Obama ha riparlato con il leader cinese Xi Jinping, con Modi, con la presidente brasiliana Rousseff, contrattando passo passo, persuaso che le intese nucleari con l’Iran, il patto sul libero commercio nel Pacifico e la carta di Parigi sul clima riscattino la sua politica estera dopo le débâcle Damasco, Bagdad e Kabul. Ancora ferita dall’attentato Isis, Parigi ha offerto la sua magnifica cornice agli accordi, notti insonni per sherpa e ambasciatori.

Il ministro Fabius è stato perfetto e il presidente Hollande lo ha lasciato lavorare in libertà. Siamo spesso stati critici con le Nazioni Unite di Ban Ki Moon, troppo reticenti e ambigue, ma sul clima a Parigi l’Onu ha ricordato al mondo perché è stata creata e quanto ancora possa contare, se agisce con coraggio e senza ambiguità morali. Papa Francesco, con la sua enciclica, ha schierato la Chiesa sul tema della difesa dell'ambiente come valore spirituale ed è un protagonista centrale.

Chi ha seguito le cronache del nostro Roberto Giovannini sa, infine, quanto vicini si sia arrivati a un fallimento, o almeno ad annacquare il successo.Tutto bene dunque? Attenti, no. Parigi, con i suoi obiettivi e l’impegno a rivedersi periodicamente per verificarne il rispetto, è solo un inizio. L’occidente deve ricercare, con il mercato, l’industria, la scienza e gli ambientalisti nuove fonti pulite di energia e migliore efficienza per i combustibili antichi. Cina, India (dove milioni di cittadini ancora cucinano il cibo su escrementi di animali), America Latina devono crescere senza che il caos ambientale li penalizzi.

Una partenza dunque, un successo da corroborare nella prossima generazione, che si lascia dietro una domanda: e se provassimo ad usare la diplomazia, con la stessa infaticabile costanza, sulle altre, intrattabili, crisi globali?