Caro Riotta, stiamo purtroppo vivendo un periodo di recessione caratterizzato dalla contrazione dei consumi interni, per cui è opportuno rilanciare le esportazioni allargando i nostri orizzonti commerciali, nel rispetto però dei trattati internazionali sottoscritti. Giusto salvaguardare le eccellenze puntando sulla qualità dei prodotti e cercando di aumentare il livello di produttività delle nostre imprese, finora al di sotto degli standard internazionali. Le forze che compongono il governo Conte, in attesa della prossima tornata europea, sono invece in perenne campagna elettorale, ispirate da una condotta sovranista e nazionalista che rivela la propensione a smarcarsi da accordi di cooperazione, il che ci espone alle critiche dei partner e alla possibile ingerenza di altre superpotenze. Non possiamo tenere i piedi su due staffe, senza pagare un altissimo prezzo a livello di credibilità, con i rischi che ne conseguono. Le difficoltà in cui si dibatte il Regno Unito a causa della Brexit espongono in modo eloquente limiti e ripercussioni economiche di una politica nazionalista. 
Giacomo Geninatti Chiolero

Caro Geninatti Chiolero, lei usa un aggettivo di moda, “sovranista”, che mi ricorda un bel libro della linguista Nora Galli De’ Paratesi “Le brutte parole: semantica dell’eufemismo” Mondadori. La De’ Paratesi spiegava come le “parolacce” venissero inzuccherate dagli eufemismi, per dire robaccia in modo presunto “perbene”. “Sovranista” significa solo “nazionalista”, ma con il tono ipocrita della pruderie di chi usa “perdiana”, “cavolo”, “cribbio” schermandosi da altre volgarità. I cosiddetti “sovranisti” che ammorbano i nostri talk show sono dei tardo nazionalisti, emuli di chi raccoglieva le giarrettiere delle calze usate illudendosi di far guerra all’America, dei giornalisti di “Strapaese” che detestavano la cultura europea, di chi amava il ponte Morandi a Genova perché la sua tecnica, fallace, era “italiana”. L’Italia, come scrive in un suo bellissimo libro, “Machiavelli e l’Italia, resoconto di una disfatta” Einaudi, lo studioso Alberto Asor Rosa, è un piccolo Paese dalla lunga storia, che non sa mai darsi una credibile classe dirigente e valori condivisi, e galleggia sempre, temendo il cambiamento e preferendo la sopravvivenza mediocre a un virtuosa riforma morale. Le rotture delle alleanze durante la I e la II guerra mondiale fan parte di questo Dna vile e trasformista e ahimè, come lei ben coglie, un simile retaggio ci isola nel mondo, perfino con il Trump di cui Lega e 5 Stelle si dicevano amici, non solo con Europa e G7. Legga Asor Rosa e vedrà che le sue ragioni hanno, purtroppo, radici lontane.