Ogni analisi politica del 2021 in Italia, a cominciare da questa mia beninteso, dovrebbe essere preceduta da un disclaimer “Attenzione, la serie di fatti senza precedenti acclarati nel XXI secolo, rende queste righe infide, valutarle dunque con prudenza, grazie”. Quando, infatti, leggete i peana a Mario Draghi e ai suoi, pur validi ministri, il tecnocratico Vittorio Colao, il futuribile Roberto Cingolani, i civil servant indipendenti Marta Cartabia, Daniele Franco, Enrico Giovannini, Patrizio Bianchi, Maria Cristina Messa, fate attenzione alle mille difficoltà che avranno nel riformare, come chiede l’Europa in cambio dei sussidi, giustizia, pubblica amministrazione, sanità, scuola, clima economico del paese che stucca gli investitori internazionali, mercato del lavoro. Generazioni di leader, alcuni davvero validi e dotati di energia e preparazione, sono caduti (alcuni in senso non letterale) su questo campo e sottovalutare i problemi, come fece troppo spesso il governo Conte II, sarebbe esiziale. Altrettanto vacue sono le lagne da talk show, “Valeva la pena per Brunetta, Carfagna e Gelmini?”, graffiti di un tempo che non torna, mi spiace, davvero, per il battagliero Di Battista.

Il tema da cui voi invece dovete partire, con prudenza e attenzione, per giudicare il futuro del governo Draghi è l’irrompere, ormai da dieci anni, dell’imprevedibilità nella politica italiana e della foga con cui la Storia, facendo leva sulla fragilità economica del nostro paese e sulla frammentazione di ogni cultura politica, cambi scena, trama e personaggi nel dramma che viviamo.

Nel 2006 Romano Prodi pare aver ripreso la bussola riformista, nel 2008 l’immaturità cronica di governo del centro-sinistra rilancia Silvio Berlusconi che implode, malgrado Giulio Tremonti provi a non allontanarsi dalla falsariga del povero Padoa Schioppa (che glielo riconobbe in una intervista a un altro amico precocemente scomparso, Fabrizio Forquet) e lascia la pista a Mario Monti. La reverenza dei media su Monti -di cui l’allora premier, con sagacia, diffidava- meriterebbe oggi volumi, anche perché parecchi esegeti sono riapparsi poi, turibolo in mano, per Conte e ora per Draghi, con qualche voluta di incenso per Letta o Renzi.

La frenesia delle albe e dei tramonti improvvisi la conoscete, Bersani fallisce nel 2013 la vittoria, per la rimonta di Forza Italia e il boom di Beppe Grillo, i 5 Stelle, ancora nella fase infantile del “Vaffa”, si isolano davanti alle pur generose promesse del Pd, Renzi conquista partito e 40% alle Europee del 2014, un Renzi “rottamatore” che raccoglie insieme riformisti e populisti, il governo Letta lascia il passo all’ex sindaco di Firenze, che sconfitto dal referendum costituzionale, ha contro tutta la sinistra conservatrice degli intellettuali tradizionali, passa il testimone al moderato Paolo Gentiloni. Quindi il Conte I di Quota 100 e reddito di cittadinanza, con l’alleanza mozzafiato Grillo-Salvini. Per il New Yorker Grillo è addirittura il salvatore della patria, un mix di “Michael Moore e Stephen Colbert” con “la voce rauca di Ray Charles”, ma Salvini fa harakiri nel ’19, ha creduto troppo ai suoi social media vanesi, il Pd invoca invano il voto, pur sapendo che vinceranno le destre, Renzi inventa il Conte II, arriva il Covid, Renzi riapre la crisi, il Pd ripete ancora “O Conte III o il voto”, il presidente Mattarella, risoluto, convoca Draghi.

Ripercorrere questi eventi, in poche righe, ci ricorda quanto formidabile sia il caos che attraversiamo, chi avrebbe previsto al Vaffa Day del 2007 Grillo al governo con Berlusconi, o nel 2019 Renzi, Zingaretti, Salvini e Giorgetti sottobraccio? E, guardando all’opposizione, chi avrebbe previsto la Meloni e il Fatto insieme a bombardare Draghi (a piè di pagina e mi scuso: io)? Il gioco più banale di queste ore, astenetevi dal praticarlo, è l’AH AH!, rinfacciare a Grillo le intemperanze contro la Kasta di Silvio “In Libano o 20 anni in galera appena arriviamo al governo”, il Pd di Bibbiano, alla Lega gli ululati contro la presidente Boldrini, a Leu le prediche sul capitalismo finanziario, al Pd i troppi aut aut caduti nel nulla. Si contraddicono, ebbene sì, si contraddicono, come prevedeva il bardo americano Walt Whitman. Ma lo fanno non per incoerenza privata, perché costretti dalla ferrea mano della realtà.

Allora, per giudicare cosa accadrà adesso, partite da un vecchio adagio del maestro della strategia Klaus von Clausewitz, “In guerra l’unica certezza è l’incertezza”, parafrasandolo in “Nella politica italiana l’unica certezza è l’incertezza”.

Chi non segue questa massima saggia andrà fuori strada in breve tempo e non parlo, badate, solo degli analisti, quelli con un copia incolla su Word e due giravolte ai talk se la cavano, parlo dei leader politici del momento, che dovrebbero considerare con rispetto grave la galleria dei disastri che li ha preceduti.

Ragioniamo insieme al volo:

  1. Il Movimento 5 Stelle, dopo aver governato in due anni e mezzo con tutti i partiti che aveva denunciato come nefasti, deve ora reinventarsi. Non si tratta della fronda di Di Battista o Morra o della Lezzi, inseguiti dai cronisti trafelati. Come tutti i movimenti populisti carismatici conta solo il capo, dall’inizio alla fine, Beppe Grillo. E Grillo, per ragioni di cui una volta ancora meglio diremo ma che attingono non alla politica ma alla sua vita, ragioniere, attore, il disastro con gli amici in montagna, la tv, mette al primo posto la sopravvivenza della sua creatura, che considera non “politica” ma “arte”. Per lui “the show must go on” e se serve condividere la scena con gli odiati Berlusconi, Renzi, Lega, che importa, un ghigno in più e avanti. Ma al voto il Movimento dovrà rendere conto di queste scelte iperpoliticiste e tanti elettori si allontaneranno, per esempio al Sud che lo aveva premiato sognando sussidi e per la rabbia dei troppi nuovi poveri. Dove andranno quegli elettori? Chi li intercetterà? Solo Meloni? Occhio, perché nel Pd una nuova leva di sinistra, dal responsabile economico Emanuele Felice, all’ex ministro del Sud Peppe Provenzano, gente che ha studiato le tesi della Mazzucato, vuol lavorare giusto tra questi ceti. Qui la parola va a Luigi Di Maio, due volte ministro degli Esteri con buon risultato, che deve dimostrare di poter guidare il movimento. Ci proverà anche Giuseppe Conte, che però dovrà adesso scegliere, dire quei Si e No mai pronunciati al governo: vedrà come è difficile affermarsi col silenzio, fuori da Palazzo Chigi, e dovrà battersi, non solo postare applausi online. Ce la farà?

  2. Il Pd è atteso, dopo i due appuntamenti bucati del 2019 e 2021, a una svolta che determinerà a lungo il destino del partito che fu dei Prodi, Veltroni, D’Alema. Non si tratta del futuro del segretario Nicola Zingaretti, di un congresso da convocare o meno, come fossimo nel Pci del 1966 con la sinistra di Ingrao contro la destra di Amendola, di un nuovo leader. Tutto questo sarà in ballo, certo, ma c’è qualcosa di più radicale e profondo, che non può essere ridotto al bruciare in effige il solito Renzi, o nel tentare sottobanco di ricopiarlo nel partito senza che il segretario se ne accorga. Il Pd era nato con un’ambizione nobile, storica, raccogliere l’eredità culturale e sociale migliore della Dc, Pci, Psi in un partito moderno, riformista, maggioritario, capace di dialogare con la sinistra europea e americana, pronto a battersi per i diritti in Italia e ovunque, pragmatico, idealista. L’opinione pubblica lo percepisce invece come apparato di politici di professione, i più abili, esperti, spesso affidabili, che ci siano in giro, ma dissanguato da passione, slancio, emozione. D’Alema non esitò a intervenire nella guerra contro i pogrom nei Balcani, Veltroni evocava Don Milani e la sinistra Usa, Bob Kennedy, “I Care”, Renzi si inginocchiò dietro il Cremlino, per onorare il dissidente Nemtsov, vedete nulla di questo ormai? Il partito deve decidere se gestire un corpo elettorale di anziani, ceto medio, non sbilanciarsi, campicchiare, o se invece rischiare, alzare la posta. Il partito democratico USA, perfino sotto la guida dell’anziano Joe Biden, ci sta provando, ambiente, uguaglianza economica, genere, identità, diritti umani. Per questo la débâcle dei tre ministri maschi Pd nel governo Draghi, brucia come uno smacco. Perché la logica mediocre delle correnti, dei sottopanza, della burocrazia non affascinerà mai i giovani e i nuovi soggetti della nostra cittadinanza. Il segretario Zingaretti e i dirigenti del partito, al secondo governo di seguito che non hanno proposto, ideato, animato, devono prendere atto che il tempo stringe: avranno titolo a chiedere consensi tra i 5 Stelle e i centristi in libera uscita alle prossime elezioni? O saranno una sigla regionale, dal glorioso passato, ma con idee fruste e ideali spenti?

  3. Anche l’area centrista, e parlo di un’area vasta da Renzi, Calenda, Bonino, fino alla Lega governativa di Giorgetti e Zaia, con la Forza Italia dei ceti legati a Berlusconi e intermediati con pazienza certosina da Gianni Letta dovrà ripensarsi, chi la guida, chi la interpreta, come si collega al mutamento sociale, come potano al proprio interno le pulsioni populiste e antieuropee? Attenti, perché al di là dei media, questa è un’area che intercetta buona parte del Pil italiano, il Nord, aree sociali di importanza estrema per la ripresa.

  4. Giorgia Meloni ha condotto la fase della crisi Conte II con bravura e aplomb. Di nuovo, chi si accontenta di caricaturarla con toni misogini, sbaglia due volte, nel modo e nella sostanza, perché la leader di FdI si va rivelando donna cauta, attenta a non cadere in passi falsi alla Salvini. Certo, deve a sua volta espungere dal partito le frange filofasciste che fanno spesso capolino dai social media, e affrontare il suo dilemma strategico: man bassa al voto di tutta l’opposizione sociale al governo Draghi, che sarà cospicua, col rischio però di ritrovarsi poi all’opposizione, o invece diventare destra europea, sia pur conservatrice, alla Cristiano sociali bavaresi, capace di governare? Stay tuned, ci saranno anche qui novità.

  5. Il premier stesso, Mario Draghi, non avrà vita facile L’errore maggiore che lui, e il suo pacchetto di mischia dei tecnici raziocinanti, potrebbero compiere è trincerarsi nella trincea del sapere, senza sporcarsi le mani con i social media, col dibattito corrente, con gli umori delle persone. Ridete pure, se volete, di Rocco Casalino che filma l’addio del premier Conte tra gli applausi dello staff di Palazzo Chigi, tradizione antica, ma a Berlusconi, Letta, Renzi, Gentiloni non venne in mente di farlo e lanciarlo online e a lui sì. Il governo delle riforme impossibili, che smuoveranno dallo status quo milioni di persone, deve dialogare, sentire con il bastone del rabdomante social che cosa dice l’Italia o presto vedrà il consenso di queste prime ore dissolversi in cupo risentimento.

Infine la pandemia. Qualcuno potrà felicitarsi che l’Italia abbia lo ZeroVirgolaQualcosina in più di vaccinati di Francia o Germania, ma tra la gente questi sofismi dei media non attaccano. Il Conte II, spiace dirlo malgrado gli sforzi del ministro Speranza, non ha dimostrato la passione, lo zelo, l’impegno a vaccinare il paese che la crisi richiede. Il sussiego algido del commissario Arcuri, il suo non accennare mai a un dolore, un rimpianto, una scusa davanti alla montagna di vittime non si giustifica con la durezza del momento, la situazione è sì gravissima, tutti lo sanno, ma proprio per questo vorremmo dai leader uno scatto di compassione e radicalità. Biden sta vaccinando più americani, ma col sostegno a ricercatori, medici, ospedali, gente che soffre lascia capire che il governo non registra solo numeretti o perde tempo in risse da avvocaticchio di provincia con le case farmaceutiche: no, si batte per la vita dei cittadini.

L’Italia 2021, grazie alla saggezza del presidente Mattarella, al valore del premier Draghi, a un governo che paga saldi ai partiti ma ha talento vero al proprio interno, e a un Parlamento capace di generare una maggioranza di unità nazionale, ha la chance di uscire da una generazione di sviluppo negletto, sprechi politici, cultura depressa, emigrazione dei giovani, rassegnazione, rabbia, odio sociale. Se la sprechiamo il futuro che ci attende è fosco.