Narra la leggenda che Robert Mueller, quando era alla testa dell’Fbi, seguisse via radio il pedinamento dell’auto di un pericoloso ricercato, tormentando gli agenti federali in strada, «Dove vi trovate, a che distanza, dov’è l’auto». I poliziotti rispondono disciplinati, finché Mueller, instancabile, non ringhia «La macchina? Di che colore sarebbe?». «Rossa, Sir» rispondono all’unisono i malcapitati e Mueller insoddisfatto «Rossa? Che sfumatura di rosso…?». 

Capo dell’Fbi dal 2001 al 2013, insediato pochi giorni prima dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, Mueller, 72 anni, dirigerà come Commissario speciale l’inchiesta sul caso Russiagate, le infiltrazioni russe nella campagna elettorale Usa, incluso il ruolo dell’ex consigliere di Trump, Michael Flynn, dello staff e dello stesso presidente. Sarà Mueller a investigare se il licenziamento del suo successore all’Fbi, James Comey, è stato un tentativo di insabbiare l’inchiesta. 

Laureato a Princeton, Nyu e in giurisprudenza in Virginia, Mueller si sposa prima di partire con la III Divisione Marines per il Vietnam, comanda un plotone di fanteria, ferito, decorato con Purple Heart e medaglia di bronzo, congedato come aiutante di campo. Lavora poi come pubblico ministero, «adoro dare la caccia a ladri, mafiosi, criminali, il lavoro sul campo è vita per pm e poliziotti». È lui a arrestare l’ultimo dei padrini, il mafioso John Gotti, e braccare i terroristi che distrussero nel 1988 l’aereo Pan Am, 259 vittime, risalendo fino al mandante, il dittatore libico Gheddafi.  

La sua giornata comincia presto, un’occhiata all’orologio, sempre indossato sul lato interno del polso, come d’uso tra i commando per evitare il riflesso del vetro, vestito tradizionale su stivali texani da cow boy, marca Lucchese. La routine non cambia quando Bush figlio lo nomina capo dell’Fbi e si trova a comandare 15.000 agenti, almeno la metà laureati, avvocati, tributaristi, informatici, il Bureau che dopo la torbida direzione di E. J. Hoover ha abbandonato i ricatti e difende la legalità in America. Neppure il tempo di capire come funzionano i centralini e Mueller si sente dire dal presidente Bush: «Dopo l’11 settembre l’Fbi deve lavorare come fossimo in guerra». 

Mueller raduna intorno a sé i migliori agenti, e quando la Casa Bianca vuol spaccare l’Fbi in due, una sezione dedicata al terrorismo e una alla criminalità, si batte perché resti unito, minacciando le dimissioni pur di fermare un programma illegale di intercettazioni. I suoi uomini e le sue donne ne adorano lo stile all’antica, «Yes Sir, No Sir» senza ciance. Una moglie, Ann, sposata prima del Vietnam che l’ha seguito in 20 traslochi «una santa» la definisce, due figlie, una affetta da spina bifida, Mueller pensava di essere ormai pensionato, il cancro aveva toccato sia lui sia la moglie, ma se l’erano cavata senza conseguenze. 

 Invece il caos istituzionale seguito all’elezione del presidente Trump richiama il vecchio marine alle armi. Repubblicani e democratici si fidano di lui, l’Fbi, ancora in attesa di un nuovo direttore (ieri sembrava in pole position l’ex senatore democratico Lieberman), non teme che l’inchiesta si insabbi con Mueller al comando. Trump non la prende bene e spiega in un discorso alla laurea dei cadetti della Coast Guard, e in un velenoso tweet, di sentirsi «vittima della peggiore caccia alle streghe di sempre in America». 

Non ci sarà nessuna caccia alle streghe, Mueller non è il senatore anticomunista McCarthy 1950. Se Trump e il suo staff sono innocenti e non c’entrano con il complotto filorusso, su cui ogni giorno da Mosca il presidente Putin, un po’ temerariamente, trolla gli Stati Uniti, Mueller sarà lesto a scagionarli. Ma se ci sono le impronte digitali di chiunque, e Mueller le trova, son guai: come è arrivato a Gheddafi arriverà, impeccabile, al Cremlino. Il suo metodo non muta, lavoro di squadra: «Mi mandò a New Orleans, tra i disordini e i saccheggi seguiti all’uragano Katrina - ricorda il braccio destro James Bernazzani - le gang ci sparavano addosso, molti agenti Fbi avevano morti in famiglia, lui volava in Louisiana a incoraggiarci: James, prenditi cura degli agenti e loro porteranno la missione a termine, capito?». Questo è l’uomo che il presidente Donald Trump dovrà fronteggiare adesso.