A 40 anni dalla morte di Mao Ze Dong, rivoluzionario che eliminò 42 milioni di connazionali tra carestia seguita al piano economico «Grande Balzo in Avanti» e Rivoluzione Culturale, i social media cinesi (con 710 milioni di cittadini online la Cina è la più grande Nazione Web) lo ricordano non da dittatore spietato, ma da «statista magnanimo», fieri che il Pil cinese abbia battuto sempre il Pil europeo prima del 1800. 

Secondo il centro di ricerche indipendente Levada, appena messo fuorilegge da Putin, il 45% dei russi «giustifica il terrore di Stalin con i successi che ha ottenuto», il 35% è fiero del despota, solo il 20% ostile. Cina e Russia rimpiangono, con simbolica nostalgia, leader feroci, perché il XXI secolo ci collega via Google, ma ci priva di identità politica, rozza, diretta, magari tragica, ma che almeno indicava nitida «chi siamo». Leggete le memorie che la premio Nobel Svetlana Aleksievic raccoglie in «Tempo di seconda mano» (Bompiani): «Eravamo felici nell’Urss. Poveri, ingenui ma non lo sapevamo e quindi non invidiavamo nessuno. Domani andrà meglio, dicevamo, avevamo un futuro e un passato». 

La nostalgia di stagioni atroci prova come la perdita di identità nel presente, di speranze nel futuro e riferimenti nel passato sia il male più insidioso del nostro tempo.  

L’incendio populista, Trump e Sanders in Usa, Brexit e i laburisti di Corbyn a Londra, Le Pen a Parigi, Afd in Germania fino a Beppe Grillo si nutre di questa alienazione e non si esaurirà presto in fuoco fatuo. Per cattive prove che diano i suoi dirigenti, Trump in tv o Grillo a Nettuno, i cittadini delusi rilutteranno comunque davanti alla normale dialettica politica, alla Clinton-Merkel-Renzi, restando ai margini, risentiti, finché nuovi sogni non sappiano mobilitarli. 

Che il sindaco Virginia Raggi a Roma, senza progetto e classe dirigente raziocinante, avesse davanti a sé le forche caudine era ovvio. Intellettuali e media hanno coccolato i Cinque Stelle, tra caccia agli ingaggi e disprezzo, spesso meritato, per la politica tradizionale, perché, come scrive lo studioso Diego Gambetta, viviamo nell’Era della «Cacocrazia», il governo dei mediocri. La sindaco prova adesso a sfidare il guru Grillo, che muore dalla voglia di scomunicarla dopo l’autodafé imposto a Luigi Di Maio, già delfino in pectore, mentre il sindaco di Parma Pizzarotti, primo purgato dal Movimento, prova a ragionare. Invano: Saturno-Beppe crea figli e li divora. Risparmiamo al lettore il censimento delle beghine e dei Leporello #M5S che si spiano le mail, diffondono pettegolezzi, spifferano sottobanco ai cronisti, tranne poi invocare il Gombloddo dei Poteri Forti, Bildeberg, le Scie Chimiche, Diabolik e Macchia Nera. La Storia non li ricorderà. 

Non ci fossero in gioco la capitale d’Italia, investimenti economici ed umani colossali (trasporti, infrastrutture, Olimpiadi) e la fiducia nella democrazia verrebbe da ridere. Purtroppo la rotta del Movimento 5 Stelle è segnata, dalle origini. Privo di una democrazia interna al di là di blog controllati da occhiuti editor, con Grillo e i Casaleggio, padre e figlio, a cooptare e poi silurare i parlamentari del Direttorio Suq, non potrà creare alternative di governo. Il dilemma è secco, da Pizzarotti a Raggi, chi governa da indipendente viene cacciato da Grillo, chi gli ubbidisce non riesce a governare. Lo rammenti la sindaco di Torino, Chiara Appendino, cui l’ordine antico della città ha, fin qui, risparmiato guai: si prepari, in libertà, per tempo, con interlocutori seri e progetti concreti perché prima o poi qualcuno parlerà male di lei a Grillo, come nelle trame di Kafka. 

Pd e centrodestra irridono il tamponamento a catena dei grillini sul Raccordo Anulare di Roma, ma dovrebbero piuttosto chiedersi se i milioni di italiani che 5 Stelle ha sedotto, siano pentiti. No, i militanti M5S che a Nettuno hanno, come Guardie Rosse maoiste, imposto l’umiliazione pubblica all’orgoglioso Di Maio, accusato di «indipendenza» non di «bugie», non ascoltano le critiche, e, delusi da Grillo, si asterranno, lesti ad arruolarsi dietro il prossimo Pifferaio. Il premier Renzi, il tecnocrate Stefano Parisi che sogna un centrodestra riformista, gli altri leader e perfino le teste migliori dei 5 Stelle, avanzino risoluti proposte serie per l’Italia, negozino tra loro compromessi pragmatici, senza timori. Altrimenti scopriranno in fretta che anche da noi, come a Mosca e Pechino, un mediocre presente riabilita il peggiore passato.