Doveva essere un grande weekend per il presidente Donald Trump, con il Senato vicino ad approvare la sua riforma fiscale, contestata da vari economisti, ma che rappresenterà la prima legge importante del suo mandato. E anche il licenziamento dell’ormai detestato Segretario di Stato Tillerson, da rimpiazzare con il fedelissimo capo della Cia Pompeo, era atteso con ansia. Invece, la confessione del generale Michael Flynn, controverso consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump rimasto in carica appena tre settimane, rimette al centro della politica Usa il rapporto tra lo staff e la famiglia del presidente e i servizi russi e di altre potenze. Dollaro e mercati hanno perso quota, per poi recuperare nel pomeriggio.  

Il compromesso
Il procuratore speciale Robert Mueller, austero ex capo dell’Fbi incaricato dell’inchiesta sul dossier, cosiddetto Russiagate, per le interferenze del Cremlino nella campagna per la Casa Bianca 2016, ha offerto un compromesso nitido a Flynn. Se l’ex generale avesse confessato di aver mentito agli agenti federali sui rapporti con la Russia a proposito di sanzioni anti Putin e di una risoluzione Onu contro Israele, lo avrebbe incriminato solo sulle menzogne (pena fino a 5 anni), salvandolo dal reato di aver agito da lobbista con Paesi stranieri senza autorizzazione e altre più pesanti accuse. Inoltre Mueller lascia fuori dalla sua indagine il figlio di Flynn, estremista scapestrato che s’è ficcato in guai che possono costargli caro. Secondo i giuristi Bradley Moss e Renato Mariotti, Mueller ha fama di essere molto «avaro» in questi accordi penali con gli imputati, dunque se ha ridotto le incriminazioni a Flynn è in cambio «di sue testimonianze contro personaggi di maggiore, non minore, rilievo nell’inchiesta».  

Il cerchio si stringe
Primo a indicare che il «personaggio di rilievo» cui punta Mueller potrebbe essere lo stesso presidente, arriva Brian Ross di Abc news, persuaso che Flynn accuserà direttamente Trump di avergli chiesto una mediazione, segreta e illegale, con l’ambasciatore russo Kislyak su sanzioni a Mosca e dati anti Hillary Clinton. Kislyak ha, nel frattempo, lasciato gli Stati Uniti, richiamato da Putin, mentre il collega all’Onu Churkin è improvvisamente deceduto a 64 anni, portando così a sei il numero di alti diplomatici russi morti di botto, a ridosso del Russiagate.

Intercettazioni dirette
Trump ha lasciato che il suo legale, Ty Cobb, prendesse le distanze da Flynn con nonchalance, «le stesse bugie raccontate all’Fbi, Flynn le aveva raccontate anche al vicepresidente eletto Pence», ma l’aria resta pesante. Perché l’Fbi, allora diretto da James Comey, poi licenziato in tronco da Trump, aveva messo sotto controllo le linee legate ai russi e quindi contesta a Flynn intercettazioni dirette dei colloqui. L’inchiesta aveva già travolto tre uomini della campagna di Trump, tra cui Paul Manafort, ex numero 1 del team, ma Flynn è il primo membro dell’amministrazione nella rete di Mueller.

Il ruolo di Kushner
Che accadrà ora? Flynn potrebbe accusare Kushner, il genero e consigliere di Trump che varie fonti sospettano come fonte delle pressioni pro Israele. Altri ritengono invece che proprio i russi abbiano fatto il doppio gioco sulla risoluzione Onu, per incastrare i collaboratori di Trump, debuttanti nel Grande Gioco Intrigo Internazionale. Mueller tiene comunque Flynn in pugno, perché la legge gli consente, qualora non collaborasse come concordato, di ricusare, durante le indagini o in tribunale, il patto, rovesciando ancora sull’ex generale reati capaci di mandarlo dietro le sbarre, trame illegali con la Turchia, lobby clandestine, reati fiscali e finanziari.

Sotto pressione
Donald Trump si è astenuto dall’uso del social media Twitter, arma preferita quando va sotto pressione. L’ex capo Fbi Comey twitta invece un versetto della Bibbia, dal libro di Amos, 5:24: «Piuttosto scorra come acqua il Diritto/ e la Giustizia come un torrente perenne» e non occorre una laurea in esegesi biblica per riconoscerne l’aspra polemica contro la Casa Bianca.

Wall Street
Trump sa bene sopravvivere al clima d’assedio mobilitando la base che lo sostiene, minoritaria nel Paese, forte in potenza alle urne. Wall Street resta ottimista su tagli fiscali e ripresa, ma processi, intrighi, sospetti, accuse, veleni non permettono al presidente di concentrarsi a governare la superpotenza garante della stabilità dal 1945, mentre Putin e Xi Jinping cercano nuovi equilibri e il crescente vuoto strategico di leadership preoccupa, Washington e il mondo.