L’attacco che l’intelligence militare russa Gru, secondo fonti Fbi e sicurezza Usa, va conducendo in queste ore sulle elezioni per la Casa Bianca, con hacker a infiltrarsi nella banca dati e nelle mail del Partito democratico e della candidata Hillary Clinton, è un atto di ostilità internazionale che conferma come la vicenda dei leaks, dossier trafugati e pubblicati, mischi fin dal primo momento paladini della trasparenza e spie professionali. Da tempo esperti di sicurezza, Aspen Institute Homeland Security Group, Bruce Schneier di Harvard University, Marc Thiessen dell’American Enterprise Institute e capi dell’intelligence, dalla Francia agli Usa, documentano quel che questo giornale scrisse già nei giorni dello scandalo metadata raccolti dalla National Security Agency: Mosca conduce un’abilissima battaglia di destabilizzazione in America e in Europa, mobilitando propaganda, pirati informatici, troll (provocatori), che diffondono disinformazione, centrali di hackeraggio finanziate dal Cremlino. 

 

Snowden si spaventa  

Ora l’opinione pubblica scopre la vicenda e perfino Edward Snowden, ex agente che ha sottratto i dati Nsa e vive adesso a Mosca, protetto da legali formati nel vecchio Kgb, deve twittare, forse spaventato da eventi che non sa più controllare, chiedendo ai compagni di strada di Wikileaks di non diffondere dati «a strascico», senza controlli, ma di verificare finalmente, con serietà, se i dossier mettono a rischio vite umane. Nel 2010 i leaks di 76.000 documenti riservati rivelarono i nomi di infiltrati tra i talebani, incluse le loro posizioni gps: il lettore immaginerà la sorte di questi infelici. Nel 2014 e 2016 i leaks rivelarono le tecniche della Cia per muoversi nella rete terroristica in incognito e le modalità europee per identificare militanti Isis nascosti tra i profughi. Bene, né l’amministrazione Obama né i governi Ue hanno mosso un dito per correre ai ripari e il nostro desiderio, nobile, di difendere la privacy dei cittadini ha concesso premi Pulitzer e premi Oscar alla «campagna di trasparenza», ignorando come le buone intenzioni facciano da cavallo di Troia a spie feroci. 

 

La fabbrica dei troll  

L’apparato di manipolazione del web creato in Russia è formidabile. Si va dalla fabbrica dei troll di San Pietroburgo, attiva con migliaia di dipendenti al numero 55 di via Savushkina, pronta a inquinare dibattiti con false notizie, esacerbare gli animi, dare un «effetto pro Putin», spin, a tanti innocenti blog. «Marat», un troll russo professionista, ha confessato al quotidiano inglese The Guardian come, diretto dall’Agenzia per la sicurezza di Internet, pratichi disinformazione in Ucraina. L’anima nera dello sforzo di deformazione digitale è però gestita dai militari del Gru, Glavnoe Razvedyvatel’noe Upravlenie, Agenzia centrale di spionaggio. La violazione della banca dati democratica - il gioiello Big Data che ha eletto Obama nel 2008 e 2012 - è stata rivendicata da un pirata romeno, sigla Guccifer 2.0, ma esaminando le «impronte digitali» dei suoi post, Fbi e altri centri di analisi riconoscono i servizi militari russi. Team come Apt 28, o Orso Elegante, celano il Gru nei raid informatici, vedi quello subito dalla tv francese TV5Monde nel 2015, questa volta mascherato dalla sigla, macabra, Cyber Califfato. 

 

Ora il timore è che, dopo la campagna che è costata le dimissioni della presidente democratica Wasserman e il provocatorio invito di Trump al Cremlino a rubare ancora faldoni riservati contro Hillary Clinton, l’esercito informatico attacchi direttamente il sistema elettorale Usa. Milioni di voti Usa sono gestiti via computer, senza alcuna traccia fisica di scheda o matita copiativa, e un pirata può falsare i risultati a piacimento. Lo scorso aprile, finalmente, la Casa Bianca ha lanciato un piano di difesa, tardo e incompleto, e le aziende che gestiscono il voto giurano di essere impermeabili ai pirati, ma nessuno mai lo è davvero e per sempre. Schneier, autore del saggio «Data and Goliath», lamenta che l’U.S. Cyber Command, che ha gli strumenti per combattere la «Guerra di Quarta Dimensione» nel web, non sia coinvolto. E il rapporto di Aspen Group, trentadue esperti tra cui l’ex capo della sicurezza Usa Michael Certoff, conclude: «La nostra democrazia e le nostre elezioni sono alla mercé di governi stranieri e gruppi terroristici che possono manipolarne i risultati del voto». La senatrice democratica Dianne Feinstein e il deputato Adam Schiff, che siedono nelle Commissioni Intelligence del Congresso, hanno paura: «Mai nella storia della nostra democrazia siamo stati sottoposti a un’ingerenza dall’estero di questo calibro». Tecnicamente seminare il caos nei computer elettorali che conteranno uno per uno i voti di Clinton e Trump non è arduo, e il caos Florida 2000 Bush-Gore potrebbe a novembre ripetersi in dozzine di stati. Una storia lunga, da pochi compresa, tra ingenui cantori del web e volpi dell’intelligence informatica, che è solo all’inizio.