Migliaia di studenti tedeschi marciano a Berlino chiedendo solidarietà e giustizia per immigranti e rifugiati. Lo striscione del pacifico corteo annuncia «Oggi Lezione di Diritto Politico» e, figli dell’era globale e social, i ragazzi intonano in inglese «Canta forte e sostenuto, il rifugiato è benvenuto». A 70 anni dalla fine della guerra mondiale, grazie a loro, la Germania torna leader spirituale d’Europa, un giorno di Romanticismo.
Gli studenti di Berlino ripropongono la domanda del Santo Padre: «Che fare?», davanti alla biblica ondata di migrazione, due-tre milioni di esseri umani, che guerre, carestie, clima, sogno di vita migliore, spingono da Africa e Medio Oriente al largo nel Mediterraneo. Se accendete un talk show o un sito web, gli slogan, fast food del pensiero, sono serviti: Bombardare, Blocco navale, Tolleranza zero per gli illegali, Accogliere tutti, Schiudere le frontiere, Compassione contro profitti.
Nella realtà, invece, non esiste soluzione unica, diretta, solo piani complessi e difficili. Il «blocco navale militare», per esempio, sarebbe illegale, impossibile da attuare e innescherebbe ammutinamenti nella Marina davanti all’ordine di sparare contro la legge del mare. La dimensione tragica deve restare punto di partenza, nel 2014 3000 annegati, nel 2015 almeno 1500, in 16 mesi tre Titanic naufragati sulle nostre coste.
L’Europa insiste «il controllo delle frontiere è responsabilità nazionale» e bissa la squallida performance degli Anni Novanta con la guerra nei Balcani.
Ogni Paese fece i propri interessi, lasciando marcire le deportazioni, finché gli Usa non intervennero. Le carte, gli appelli, la retorica dell’Unione, grondano compassione, solidarietà, benevolenza. Gli intellettuali, a destra e sinistra, sono lesti a condannare gli americani per il muro nel deserto messicano e i milioni di clandestini, ma dimenticano la realtà. 41,3 milioni di emigranti vivono in America, record storico; un emigrante su cinque al mondo, il 20% del totale, sbarca negli Usa che hanno solo il 5% degli abitanti della Terra; gli emigranti sono 13% dei 316 milioni di cittadini Usa, con i figli arrivano a 80 milioni, 25% della popolazione.
Gli Usa si dilaniano sul tema, la riforma dell’emigrazione è campo di battaglia nella corsa alla Casa Bianca 2016, l’Europa è inerte Ponzio Pilato. Spera, come davanti a Milosevic, al fondamentalismo islamico, a ogni emergenza, che anche la tragedia emigrazione venga infine assorbita da una pubblica opinione estenuata da anni di crisi economica. Contro quest’inerzia, politica e morale, protestano i ragazzi di Berlino, avanguardia della generazione Erasmus, pur consapevoli che la Germania accoglie più rifugiati di tutti nell’Unione.
Una strategia geopolitica è indispensabile contro la calamità geopolitica che mette in marcia quelli che un tempo Frantz Fanon chiamava «Dannati della Terra». Per disegnarla servono lo sforzo congiunto, la fantasia, di politici, urbanisti, economisti, diplomatici, Difesa, uomini di fede. Servono sì azioni militari, sul modello della campagna che ha ridimensionato i pirati del Corno d’Africa, raid contro il racket, contro le milizie che li proteggono, contro i banditi-guerriglieri-terroristi che li scortano nel deserto, contro i porti del traffico, anche con droni, per dare il senso che l’Ue fa serio. Ma in parallelo serve un Piano Marshall, dal respiro decennale, in cui coinvolgere altre potenze – per esempio la Abii, Banca di sviluppo asiatico promossa dalla Cina che può intervenire nel Medio Oriente - dando alternative alla rotta disperata dei gommoni. Gli Usa destinarono al Piano Marshall il 4% del loro Pil: noi quanta ricchezza siamo disposti a investire per la pace del Mediterraneo? Si mette in mare il ceto medio africano, depauperando la classe dirigente locale e rallentando la positiva crescita del continente che, non dimenticatelo, il Fondo monetario calcola nei Paesi del sub Sahara al 5% nel 2014 e 5,75% nel 2015.
Blitz e piani di crescita non fermeranno però le ondate e lì l’Europa deve stimare gli ingressi, razionalmente, senza alzare i già rabbiosi umori populisti. Illudersi che siano l’Onu o gli americani a risolvere per noi il dilemma è ipocrita. Quando rileggiamo, nel 2015 le memorie 1945 di padri e nonni, vediamo amaro il ricordo «di chi restava a guardare», davanti ai treni piombati verso i lager, ai rastrellamenti, ai comizi dei dittatori, alla raccolta delle vittime. Indignarsi è facile per noi nel tinello del XXI secolo, opporsi a mani nude alla violenza richiede coraggio fuori dal comune. I libri che diamo in lettura agli scolari deprecano gli ignavi di allora: e noi? L’Europa decida quel che vuole, per calcolo elettorale, convenienza del momento, paura di agire, egoismi. Ma tutti saremo giudicati con la stessa severità con cui Primo Levi inchiodava «la zona grigia» dei lager tra vittime e oppressori. Il prossimo Titanic che scomparirà nelle acque delle vacanze, mentre ci commuoviamo cambiando canale senza far poi nulla, ci renderà «zona grigia». Non aspettiamoci dunque pietà da chi ci giudicherà.