Ventinove feriti, di cui uno molto grave nel popolare quartiere di Chelsea, a New York; otto accoltellati, in Minnesota, da un uomo che, secondo le prime ricostruzioni, prima di cadere ucciso invocava Allah; una bomba, inesplosa, ritrovata in New Jersey, sul percorso della maratona di beneficenza per i Marines. Alla vigilia della settimana che porta a Manhattan, alle Nazioni Unite, i leader del mondo, inclusi il presidente Obama e il suo vice Biden, l’America, spaccata a metà dalla durissima campagna elettorale tra la democratica Clinton e il repubblicano Trump, si ricorda del terrorismo.  


Dall’Europa è arrivata l’eco di Parigi, Bruxelles e Nizza, i massacri islamisti nati in casa, di Boston, Orlando e San Bernardino sono vivi nella coscienza del Paese, ma una settimana fa, alle celebrazioni per i 15 anni dall’11 settembre 2001 l’ombra del terrore sembrava in qualche modo esorcizzata, effimera, come la guerra dei droni che l’America combatte da un bunker in Nevada, con video e joystick, colpendo bersagli a migliaia di chilometri di distanza. Le immagini di Chelsea, pittoresco rione degli intellettuali affermati dove viveva la critica Susan Sontag, ponte colorato sul fiume Hudson tra borghesi di Midtown e hipster di Brooklyn, tatuano con brutalità il terrorismo nel dibattito che, a breve, Trump e Clinton si accingono a tenere nella volata per la Casa Bianca. 

 

Il sindaco di New York, Bill De Blasio, ha definito l’attacco «intenzionale», non arrivando però a bollarlo come «terrorismo», e viene subito irriso da chi, come l’esperta avvocatessa ex Cnn e Fox News Greta Van Susteren, si chiede «Ma una bomba non è sempre “intenzionale”?». Qualunque cosa abbia inteso dire, pur di guadagnare goffamente tempo, il sindaco De Blasio, Trump è stato invece lesto a cercare consensi nella paura, mentre Clinton, come ormai sembra fare da troppo tempo, s’è limitata a una dichiarazione di maniera, chiedendo chiarezza e prudenza.  

 

È ovvio che servono le indagini, Fbi, intelligence e la Nypd, polizia locale, sono già all’opera sulla dinamica dell’attentato, ma le nevrosi, l’inconscio di un Paese stanco di guerra, i nervi scoperti dal web, frenetico labirinto di comunicazioni non-stop che dopo una giornata di illazioni torna al punto di partenza, richiederebbero il balsamo di una guida rassicurante. Da Washington il presidente Barack Obama appare sempre più assente, ieratico, si nota di più la moglie Michelle, impegnata con grinta nella campagna per la Hillary, e i due candidati non riescono a trovare mai un punto comune, di valori o prospettiva, dividendosi perfino sulle manovre degli hackers, su cui si staglia il profilo della cyberwar russa, per manipolare la corsa presidenziale.  

 

Non credete troppo a chi dirà adesso che la deflagrazione di Chelsea incoraggia i repubblicani o piuttosto rafforza i democratici. Il duello Casa Bianca 2016 si combatte tra paura economica, malgrado gli ultimi rassicuranti dati sui salari medi, rancore sociale, diaspora culturale, in un Paese un tempo forgiato dall’orgoglio del «crogiolo» comune di sentimenti e ideali. Non più: ceti, etnie, fedi religiose, passioni politiche e emozioni, città contro campagna, bianchi contro tutti, gli Stati Uniti sono ormai lacerati dalla turbolenta trasformazione dell’ultimo quarto di secolo. Chi è schierato, con «Hillary» o «The Donald», troverà nella detonazione di Chelsea ragioni per radicarsi rabbioso nel suo voto.  

Gli incerti, gli smarriti, i confusi, e sono milioni, saranno ancor più soli e solo a novembre sapremo come hanno fatto infine i conti, nei loro cuori.