Agustin Gomez Pagola. Un nome che non dice molto agli appassionati di calcio di oggi, alle prese con gli alti e bassi del Mondiale ancora in corso, ma che nasconde una storia degna di un film.

Agustin nacque nei Paesi Baschi nel 1922 ma la sua vita cambiò nel 1937 quando, durante la Guerra Civile Spagnola, venne inviato in Unione Sovietica insieme ad altri ragazzi spagnoli per sfuggire alla difficile situazione che si andava creando. Aveva già iniziato a prendere confidenza con il pallone, e anche in Russia continuò a coltivare questa sua passione per il calcio. Presto giocò nella Torpedo Mosca, raggiunse alti livelli, e arrivò a partecipare pure alle olimpiadi del 1952.

Gomez, però, aveva anche altri interessi: alla sua carriera nel calcio affiancò sempre una fervida attività politica e anche questa non si limitò alla semplice condivisione di un ideale. Anche dall’estero, fu sempre membro attivo del Pce, il Partito comunista spagnolo che sotto la dittatura franchista continuava in modo clandestino la sua attività. Ne fu a lungo tempo anche dirigente e compì diverse missioni in tutta Europa per organizzare i comunisti spagnoli dispersi.

Nel 1956 fece ritorno in Spagna, dove continuò a dividersi tra calcio e politica, le sue due passioni di sempre. E così mentre giocava nell’Atletico Madrid, lavorava in segreto come agente per il KGB.

Allontanatosi dalla Spagna dimorò a lungo in America Latina, senza mai abbandonare il suo ruolo di dirigente comunista, e restando fedele alla linea di Mosca anche dopo il 1968 e le polemiche seguite alla repressione della Primavera di Praga.

Proprio in Russia fece ritorno negli ultimi anni della sua vita e, fedele all’ideale sovietico fino alla fine, morì a Mosca nel 1975. Come scrive Quique Peinado in Calciatori di Sinistra (Isbn edizioni), “Per lui il calcio fu solo un mezzo per fare la rivoluzione”.