Cristoforo Colombo è un simbolo di razzismo e olocausto di indigeni, il suo viaggio attraverso l’Atlantico, un’avventura imperialistica e coloniale, sfruttamento, diffusione di malattie, genocidi? Sì, secondo un crescente numero di americani che contesta il Columbus Day, festa federale dal 1934, che come ogni anno ha visto ieri paciose parate, bandiere italiane, curiosi carri a forma di caravella, sindacati, bandemusicali, gonfaloni delle parrocchie cattoliche, candidati politici in cerca di un pugno di voti prima delle elezioni di novembre. Secondo il sito Digiday, lo stato del South Dakota preferisce far vacanza celebrando «Il giorno dei nativi Americani ». Berkeley, dal 1964 culla delle rivolte Usa con gli studenti guidati dall’italo-americano Mario Savio (clicca qui) , non marcia per Colombo dal 1992 «esattamente cinque secoli dopo lo sbarco del 1492». La città di Minneapolis l’ha ribattezzata (se possiamo usare questa parola senza irritare) «Giorno dei Popoli Indigeni», e la Seattle tecnologica farà lo stesso presto. Dichiara a Digiday il manager Cal McAllister: «Dopo aver legalizzato la cannabis e i matrimoni gay adesso capiamo – sia pur con lentezza glaciale – che se Colombo non venne per rubare e uccidere, questo è comunque quel che è accaduto poi». Con generosità, il nostro ambasciatore a Washington, Claudio Bisogniero, prova a inquadrare nella storia la vicenda, fuori dagli slogan di moda, e scrive al sindaco di SeattleMurray: «Il punto critico è sì valorizzare, correttamente, la dignità dei popoli indigeni, ma ora la città priva la comunità italiana di un evento che è diventato, nel tempo, commossa espressione di identità e orgoglio…».

Chi ha ragione? Molto tempo è trascorso da quando nel 1966, nel suo più nobile discorso, nel SudAfrica del razzismo, Bob Kennedy pronunciò queste parole: «Molti dei grandi movimenti, di pensiero e di azione, nascono nel mondo da una sola persona. Un giovane monaco aprì la Riforma protestante, un giovane generale estese un regno dalla Macedonia ai confini della terra, una giovane donna liberò la Francia. Un giovane esploratore italiano scoprì il Nuovo Mondo e a 32 anni Thomas Jefferson proclamò che tutti gli uomini son creati uguali…». Kennedy comprendeva che si può ammirare Lutero senza addebitargli le guerre di religioni che insanguinarono per secoli l’Europa, Alessandro Magno senza discutere di complotti, Giovanna d’Arco non cadendo nella trappola dell’intolleranza, Jefferson apprezzando la Costituzione e condannando la schiavitù legale, e perfino Cristoforo Colombo senza condonare le stragi di indios, l’esportazione dei virus, la ferocia dei conquistatori. Il dolore dei nativi è capitolo tragico della nostra storia. Lo studioso inglese John Keegan ha scritto della sua dimensione, un intero continente ricco di risorse e con scarsa popolazione, l’America – dal nome di un altro navigatore italiano, Amerigo Vespucci – e uno impoverito e pieno di plebi affamate, l’Europa. Lo scontro che ne deriva fu inevitabile e atroce, come spesso nella storia.

Abolire adesso il Columbus Day significa solo non avere la visione morale di Bob Kennedy. Cadere nell’equivoco contro cui ci ammoniscono gli storici Odo Marquard e Alberto Melloni nel saggio «La storia che giudica, la storia che assolve» (Laterza). Travolti dall’arroganza di esser vivi, condanniamo i nostri antenati secondo standard e codici a loro sconosciuti, mandandoli al rogo su precetti, conoscenze, privilegi che solo noi possediamo. Perché allora celebrare Washington e Jefferson, che erano possidenti al tempo della schiavitù agricola? Il padre della patria Lincoln si pronunciò mai a favore delle unioni omosessuali per cui noi cambiamo i codici? E neppure Roosevelt, pur con la grandezza con cui portò l’America fuori dalla Depressione e alla vittoria contro il nazismo, non si ricorda per essersi espresso in proposito. Se bocciamo Colombo, non dovremo bocciare anche Vespucci e mutare dunque di nome all’America? È bello e commovente che il nostro tempo includa sempre più identità e tradizioni, sia libero e aperto a ogni cultura e scelta di vita, e in questo senso occorre battersi. È invece ridicolo bacchettare i nostri antenati, che ebbero esperienze assai più dure delle nostre, perché non combattevano Ogm, sigarette e eccessi di colesterolo secoli or sono. La tolleranza dovrebbe includere gli uomini e le donne del passato, magari ricordando con umiltà che già nel XIX secolo i protestanti duri volevano abrogare le feste per Colombo, persuasi che italiani, «papisti» e cattolici fossero tutti dei mezzi criminali.

(Dall'edizione in edicola del 14 ottobre de La Stampa)