Il professor Alain Enthoven, esperto di sistemi complessi a rete a Stanford University, è celebrato per le teorie sulla sanità nel mondo post industriale.  

Nessuno ricorda però che fu proprio Enthoven, trentenne sottosegretario alla Difesa col ministro McNamara, 1965, a convincere il presidente Johnson che la guerra in Vietnam fosse un’equazione, introdotte variabili e incognite, la soluzione poteva essere tratta dai colossali computer Ibm del tempo. Fu il brillantissimo Enthoven, fresco di studi a Oxford e al Mit, a ideare il concetto di «body count», contare i morti: se gli Usa avessero inflitto abbastanza sofferenze al Vietnam, il nemico sarebbe corso al tavolo delle trattative. 

Non funzionò, e a indicare per primo il ruolo nefasto di intellettuali e militari nella disastrosa strategia Usa contro Hanoi è stato un colonnello dell’esercito, presto mobilitato in Iraq contro Al Qaeda, H.R. McMaster, oggi consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente Trump. Scrivendo la sua tesi di dottorato all’Università della North Carolina, il colonnello McMaster cambia l’orientamento della storiografia Usa. Da Hollywood, ai giornali, agli accademici la «colpa» della sconfitta nelle risaie era attribuita sempre alla politica, prima il presidente Kennedy, poi Johnson, non avevano ascoltato società civile e stato maggiore, portando con superbia il Paese alla disfatta. Ancora in divisa, McMaster rompe il tabù e attacca i superiori: pubblicata nel 1997, la tesi diventa un libro dal titolo micidiale come una fucilata, «Dereliction of duty», abbandono, tradimento del proprio dovere. 

A commettere il tradimento, scrive McMaster, fu il vertice dell’esercito, i generali. Per cupidigia di promozioni, carriera, per incapacità di comunicazione, non seppero superare la diffidenza di Kennedy e Johnson, dissero docili di sì, anche quando sapevano benissimo quanto i numeri di Einthoven e McNamara fossero spazzatura. «La passione di Einthoven, risolvere i problemi con l’analisi quantitativa, era superata solo da una cosa: la sua arroganza», annota il dottorando McMaster, che chiude con un appassionato appello, i militari devono dire la verità ai politici, a qualunque costo. 

 In campo in Iraq nel 2005, il colonnello McMaster comanda il III Reggimento Corazzato di Cavalleria nel deserto a Nord Ovest di Baghdad, per strappare ad Al Qaeda la città di Tal Afar. Prima impone ai soldati di imparare un po’ di arabo, fa lezioni di storia locale, infine chiede rinforzi. Il suo superiore glieli nega senza appello. Non ha letto «Dereliction of duty», perché in uno dei passaggi chiave McMaster ricorda il luglio 1965, quando Pentagono e generali chiedono a Johnson di mobilitare 100.000 uomini della Riserva, per contenere i vietnamiti e dare coscienza al Paese di una guerra aspra. Johnson, impegnato nelle riforme contro la povertà, boccia l’idea e in un meeting decisivo il capo di stato maggiore, generale Wheeler, si dichiara d’accordo: intorno al tavolo tutti sanno che mente per ipocrisia, nessuno ha il coraggio di contraddirlo. Sono i due capi delle forze armate di allora, Wheeler e il predecessore Maxwell Taylor, gli imputati di McMaster, sicofanti e servili. In vista della roccaforte islamista di Tal Afar, McMaster fa quel che la storia gli ha insegnato, disobbedisce al diretto superiore, propone l’invio dei rinforzi al comando a Baghdad, e mette le basi del «surge», la controguerriglia, condotta poi con successo dal generale Petraeus. 

 

L’indipendenza di giudizio va di moda a Silicon Valley, non nell’esercito, e per due volte i generali, che hanno sfogliato la sua tesi, negano a McMaster la promozione a generale. Toccherà a un altro anticonformista, Petraeus, concedergli in ritardo le stellette. Ora il calvo, solido, H.R. McMaster fa da coscienza pragmatica al focoso Trump, ed era col presidente sull’Air Force One in volo da Washington a Mar-a-Lago in Florida, quando è stato deciso il blitz limitato contro la base siriana di Shayrat, rappresaglia contro la strage di civili con i gas. Il raid raffredda il clima tra Usa, Putin e Assad, e merita al Presidente imprevedibili elogi di parte liberal, dall’ex sottosegretario di Stato della Clinton, Anne Marie Slaughter, al columnist NYTimes Kristof, mentre la destra isolazionista dà in escandescenze sul web. Molti, vedi lo studioso Robert Kagan, si chiedono cosa accadrà adesso, se Trump andrà avanti con la campagna, come reagirà Putin - che non strappa con Washington, vedrà il segretario Tillerson e magari, sotto sotto, apprezza la strigliata al riottoso alleato Assad, che non vuole saperne di negoziati -, se l’Iran lancerà all’offensiva le milizie sciite in Iraq. Ogni opzione è aperta, ma per capire cosa abbia in mente McMaster non avete che da leggerne la tesi, certi che solo quella ruvida verità proporrà al presidente Trump, costi quel che costi.