«Sono deluso» che la Russia abbia concesso asilo politico ad Edward Snowden, la talpa dei dossier segreti Nsa: la dichiarazione di Obama risuona felpata davanti alle sfuriate da Guerra Fredda, quando il leader sovietico Nikita Krusciov annunciava a Usa ed Europa: «Vi seppelliremo… vi schiacceremo i testicoli».
Per poi sentirsi rispondere al summit di Vienna 1961 dal neo presidente John Kennedy: «Allora signor Presidente sarà guerra, un inverno lungo e gelido».
Se non siamo a quella stagione di violenza verbale tra Mosca e Washington e guerre locali in Africa, Asia, America Latina, è certo però che, dalla caduta del Muro di Berlino, 1989, a oggi mai Stati Uniti e Russia sono stati tanto lontani, discordi, con interessi e visioni opposte, nessun desiderio di appianare le differenze, molta voglia di alzare, per ora solo nella propaganda, i toni. Il summit previsto a San Pietroburgo dopo il G 20 salta per ripicca della Casa Bianca, ed è la prima volta da una generazione. Perfino la flemma di Obama ha un limite.
Obama sapeva che il leader russo Vladimir Putin, dopo la farsa del soggiorno di Snowden all’aeroporto di Mosca, gli avrebbe dato asilo. L’ex analista dello spionaggio Usa ha parecchi dossier che interessano il Cremlino, e Putin non perde l’occasione di umiliare il Presidente americano, col quale ha una relazione pessima. Opposti i caratteri: populista, aggressivo, machiavellico Putin, cerebrale, preoccupato dell’immagine, certo di avere sempre ragione e virtù dalla propria parte Obama. Opposti gli interessi. Putin non vuole perdere l’ultimo porto nel Mediterraneo e non molla il vassallo Bashar al-Assad in Siria, Obama spera nella caduta del regime. Il presidente Usa conta su una coalizione sociale innovativa, e strappa alla Corte Suprema semaforo verde alle nozze gay. Putin, quando il prezzo del petrolio scende, le mance con cui mantiene il potere scemano e il consenso è a rischio, se la prende con la comunità omosessuale, gli artisti – vedi processo alla band punk Pussy Riot –, sperando che conservatori e ortodossi applaudano.

Appena insediato alla Casa Bianca Obama manda il Segretario di Stato Hillary Clinton dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, con in regalo un bottone rosso e giallo e la scritta «Reset», nel linguaggio dei computer sigla per azzerare ogni problema tra i due paesi e ripartire con una relazione di fiducia. È la tipica illusione di Obama, ripetuta poi con il mondo islamico, credere che le capitali ostili non abbiano un problema con gli Stati Uniti, ma con il suo predecessore George W. Bush, e che bastasse dunque giurare buona fede per conquistarle. Molti dei capelli bianchi che hanno intenerito la First Lady Michelle al recente compleanno del marito, vengono da questo abbaglio. I rivali dell’America restano tali anche con i democratici al potere.

Del resto l’astuto Lavrov fece notare a Hillary che in russo la parola «Peregruzka», con cui qualche ingenuo funzionario del Dipartimento aveva tradotto «Reset», non vuol dire affatto «azzerare», «ripartire», ma al contrario «stressare», «sovraccaricare». Chiunque abbia commesso l’errore linguistico ha però avuto ragione politica, oggi le relazioni Usa-Russia e Obama-Putin non sono «resettate» sono «stressate» e «sovraccaricate» di incomprensioni.

Quando Snowden si è nascosto a Hong Kong, sperando nella benevola protezione della Cina, le autorità di Pechino sono state sollecite nello spiegargli che non era ospite gradito. Tante vicende separano Cina e Stati Uniti, in lotta per la supremazia sul pianeta. Ma il leader cinese Xi Jinping è consapevole che il braccio di ferro, se precipitasse in scontro, metterebbe a rischio non solo la pace ma anche lo sviluppo del suo paese, ancora incompleto. I due paesi, di conseguenza, agiscono con responsabilità e razionalità in difesa dei propri interessi. Ciascuno può prevedere le mosse dell’altro, errori e rischi sono rari. All’apice della Guerra Fredda, a Cuba 1962, in Ungheria 1956, Berlino 1948 e con la disputa per le isole Quemoy e Matsu 1960 («mai fummo tanto vicini alla guerra nucleare come durante la disputa per quegli scogli ignoti» osservò il diplomatico McGeorge Bundy), Mosca e Washington non tagliarono mai, del tutto i ponti. Krusciov ritira i missili da Cuba e, in cambio, Kennedy gli salva la faccia ritirando i missili Jupiter da Turchia e Italia. I leader installano «il telefono rosso» per evitare che fretta e incomprensioni scatenino il lungo freddo inverno nucleare.

Con Putin niente «Smartphone rosso», il capo del Cremlino titilla la base populista negando un rapporto maturo a Obama, irritandolo con gesti plateali. A un popolo russo che ha poche soddisfazioni reali, Putin concede cinico le modeste umiliazioni inflitte all’ex docente di diritto Obama. Si vanta della libertà americana? E allora asilo a Snowden e pesci in faccia.

Obama dunque non incontrerà Vladimir Putin, Putin inventerà qualche altro show, dopo la Guerra Fredda è Guerriglia Fredda. Putin non smetterà di fare il gradasso, almeno fin quando lo shale gas non libererà gli Usa dal ricatto petrolio. Arrivano però le Olimpiadi invernali a Sochi, in Russia, e per allora Mosca dovrà ripulire un po’ il medagliere sui diritti umani. Il match globale per la medaglia d’oro resta Usa-Cina, ma se l’Europa si svegliasse Putin non finirebbe neppure sul podio, al terzo posto.