La morte di Antonin Scalia, geniale giudice conservatore della Corte Suprema americana che tutti chiamavano Nino, per le origini siciliane, apre nuovi dilemmi nella campagna presidenziale 2016, la più confusa da generazioni.

Con la Corte spaccata 4 a 4 tra giudici conservatori e progressisti, (l’indipendente Kennedy a volte rompe l’impasse, votando con i colleghi liberal) il presidente Obama è chiamato, a 9 mesi dal voto, a nominare un giudice che, spostando la Corte dalla sua agenda tradizionalista, cambierà il paese per anni. Dal Senato, che deve confermare la nomina, il leader repubblicano Mitch McConnell annuncia battaglia, assicurando che mai il nome del presidente passerà.

Obama farà un nome, come la Costituzione gli impone, e lascerà i repubblicani bloccare la Corte, irritando gli elettori indipendenti ma entusiasmando i clan rivali dei militanti conservatori e liberal. Quando il presidente Reagan designò Nino Scalia, nel 1986, il Senato votò in suo favore 98 a 0, altri tempi, istituzioni e politica estera non erano preda delle convulsioni di parte. Il vicepresidente Biden, allora senatore, si pentì del voto favorevole, lamentando “Scalia è troppo bravo”. Figlio di un emigrante siciliano, Salvatore, arrivato in America senza parlare inglese e arrivato a insegnare al Brooklyn College, nei suoi 79 anni di vita Nino Scalia ha rotto molti tabù, primo della classe a Georgetown University, direttore della Harvard Law Review (tra i successori Barack Obama), primo italo-americano alla Corte Suprema, nove figli, 28 nipoti. Cattolico devoto, ostile al Concilio Vaticano II, la domenica sempre messa in Latino, Nino Scalia rideva della prole numerosa “con mia moglie giocavamo alla roulette del Vaticano”. Scalia cambia il tono della Corte, da sempre inamidato, tempestando avvocati e colleghi di domande, battute, interruzioni, al punto che il patriarca Marshall, primo afroamericano alla Corte, lo guarda storto al debutto “Si accorgerà che ci siamo anche noi qui?”.

Scalia impone la filosofia “originalista”, certo che la Costituzione vada interpretata rigidamente, secondo le intenzioni letterali dei Padri Fondatori, non alla luce delle ideologie presenti. Con questa ferrea morale combatte aborto, porto d’armi, nozze gay e leggi pro minoranze nelle scuole, difendendo invece le leggi “anti sodomia” che negli stati del Sud rendevano l’omosessualità un reato. Simpatico, cacciatore, gran tennista, era diventato amicissimo di due giudici rivali, le progressiste Ginsburg e Kagan, passando il Capodanno con la prima e invitando la seconda a battute di caccia. Un’enorme trofeo di alce, soprannominato “Leroy”, dominava l’ufficio di Scalia ma il calore umano non ha mai ammorbidito l’astio dei progressisti, che gli rimproverano il no al riconteggio dei voti in Florida 2000, che assegnò d’ufficio la presidenza a George W. Bush. Il giornalista Glenn Greenwald, celebre per lo scoop sullo scandalo della Nsa, via twitter annuncia di non volere osservare nessun cordoglio rispettoso per Scalia e si apre un torrente di reazioni rabbiose.

L’America oggi è così, di pessimo umore per le difficoltà economiche di ceto medio e operai, spaccata da una guerra di culture, conservatori-progressisti, che l’ascesa, a destra, del populista Trump e, a sinistra, del socialista Sanders, esacerba. Negli ultimi tempi Scalia, nervoso per la sconfitta sulle nozze gay e consapevole che nel paese ha prevalso la cultura liberal (i repubblicani controllano il Congresso solo perché giovani e minoranze non votano se non per la Casa Bianca), s’era blindato in battutacce contro colleghi e rivali, finendo a sua volta ostaggio del risentimento. Con “Nino” i conservatori perdono guida intellettuale e politica, e restano in balia dei Trump.

Ora Obama deciderà come agire. Può proporre un giudice democratico, pronto a ribaltare la sentenza “Citizens United” che permette alle lobby di finanziare la politica senza freni, come l’ex governatore del Massachusetts Patrick o il giudice Smith (sarebbe il primo gay dichiarato). Una scelta di scontro, per mobilitare la base liberal e costringere i senatori di destra all’ostruzionismo. Oppure proporre un moderato e provare a farlo votare dal riluttante Senato, per esempio il governatore repubblicano del Nevada Sandoval, pro aborto e immigrazione ma rispettato nel partito.

L’unanimità del 1986 per Scalia sarebbe impossibile in un’America polarizzata, falliti gli sforzi di Obama 2008 per riunirla. Un solo candidato, il repubblicano Kasich, predica inascoltato “Siamo americani, non democratici o repubblicani”, gli altri scaldano la piazza e basta. Anche Nino Scalia, pur col suo genio legale, ha alla fine contribuito a dividere la società civile, e questa eredità pesa nell’acrimonia terribile con cui si attende il suo successore.

Il giudice italoamericano Antonin Scalia, detto Nino, si era insediato alla Corte Suprema americana nel 1986, tempi di Reagan, Gorbaciov, Giovanni Paolo II ed Enzo Bearzot. I giudici vengono nominati a vita, una scelta della Costituzione per affiancare a Casa Bianca e Congresso, una Corte che bilanci gli umori del paese. La Corte conservatrice frena le riforme progressiste del New Deal di Roosevelt, al punto che il presidente voleva aumentare il numero delle toghe in suo favore. Ma nel 1900 la speranza di vita media per gli americani era solo di 46 anni, oggi 79 anni, il che implica per i giudici la chance di arrivare oltre i 90 in serenità. È giusto che il carico formidabile di interrogare gli avvocati, redigere sentenze, dibattere in aula, cada su anziani tanto avanti negli anni? In America si litigava se Reagan fosse troppo vecchio quando venne rieletto, a 73 anni, oggi qualcuno obietta per il senatore Sanders, 74 anni, o la Clinton, 68, troppo anziani. La Chiesa cattolica ha deciso che a 75 anni un cardinale deve passare la mano, Papa Ratzinger ha scelto la strada delle dimissioni. Un paese in transizione come l’America non può lasciare la custodia della Costituzione a una generazione lontana dagli affanni dei “millennials” e dovrebbe emendare il diritto per dare un termine fisso al mandato della Supreme Court. Ragionevole, non aspettatevi dunque che l’America partigiana ci provi neppure.