La croce per la prima messa che il Papa celebrerà negli Stati Uniti è alta poco meno di un metro e mezzo, pesa dodici chili, è di rozzo ferro, e porta incisa la scritta «ad perpetuam rei memoriam», ricordo perpetuo dell’evento. La croce fu forgiata nel XVII secolo, in occasione della prima messa che i coloni cattolici poterono, semiclandestini, organizzare in Maryland, andò poi perduta ed è stata ritrovata, per caso tra altri cimeli, in una cantina all’università dei gesuiti Georgetown University.

L’umile simbolo bene rappresenta l’importanza della missione di Papa Francesco a Cuba e negli Stati Uniti. Incensato da chi si riconosce nella sua agenda, con il vicepresidente cattolico Joe Biden – che parecchi quadri democratici vorrebbero candidato alla Casa Bianca 2016 al posto della tiepida Hillary Clinton - a proclamare «Arriva negli Usa l’uomo più popolare al mondo!», ma secondo lo stile dell’era rabbiosa del web politico, disprezzato dai conservatori. Per il commentatore di destra Rush Limbaugh «Papa Bergoglio è un marxista», mentre in uno acido fondo sul «Washington Post» l’arciconservatore George Will borbotta «Questo papa si schiera contro la modernità, la razionalità, la scienza… la società aperta. Gli americani decidano: o onorano lui o i fondamenti della nostra nazione» e certo l’oscuro fabbro che forgiò la croce della prima messa cattolica sarebbe sorpreso nel vedersi cancellato come pioniere degli Usa.

I progressisti  

Questo è il clima sui media per il viaggio del Papa in America, Usa e Cuba. I progressisti lo tireranno dalla loro, elogiandone le aperture su matrimonio e omosessualità, la critica radicale agli eccessi del mercato globale, la scelte ecologiche dell’enciclica «Laudato si’». Ma la sinistra radicale resta corrucciata con il Papa, accusato di non avere difeso i preti marxisti durante la dittatura in Argentina, di non avere risarcito a sufficienza le vittime dei preti pedofili, di non ordinare donne sacerdoti.

I conservatori sono invece lesti a giudicare il Papa «rancido populista alla Peron», nemico del capitalismo, della crescita, che con la riforma della Sacra Rota «approva il divorzio breve alla cattolica». Raul Castro, seguito dalla schiera dei caudillos latinoamericani, batte le mani al papa di Buenos Aires, dimenticando le persecuzioni che all’Avana commina ai dissidenti cristiani come il compianto Oswaldo Paya. I veterani dell’anticastrismo nella Little Havana di Miami protesteranno contro il pontefice che benedice i loro vecchi persecutori castristi, mentre il presidente Obama si metterà all’ombra del suo mantello per essere confortato su apertura a Cuba e battaglia contro l’effetto serra.

Il valore profondo del viaggio del papa però elude l’incenso e il vetriolo. Come ha osservato su twitter Bruno Mastroianni dell’Opus Dei, i giornali si dividono pro e contro i gay, i transgender, i militanti che verranno, o non verranno, presentati al papa, mentre lui «vedrà davanti solo persone». Il «New York Times» cita Rubén Rufino Dri, docente di sociologia delle religioni in Argentina e da sempre avversario di Bergoglio: «Fa spettacolo da bravo showman… non cambia la chiesa, la sua non è una rivoluzione» ma, obietta Austen Ivereigh, uno dei biografi del papa «Francesco si diverte a beffare i luoghi comuni, le élite provano ad arruolarlo di qui e di lì, lui si smarca».  

Polemiche inutili  

Francesco non si fa infilzare dalle polemiche correnti perché, come ha raccontato nell’intervista a padre Spadaro di «Civiltà Cattolica», è lui il primo a criticare certe scelte del suo passato, la sua gestione dei primi anni a Buenos Aires per esempio, certe idee superate dai tempi. Il papa ha scelto, con umiltà, di maturare, accettare i propri errori ed emendarli. Un atteggiamento inaccettabile nel clima talk show e web ideologico in cui nessun cedimento può mai essere concesso. Una parte deve sempre avere ragione, l’altra torto, niente discussioni.

L’America è paralizzata da un nichilismo postmoderno in cui tutto è relativo, incerto, opaco, e, per reazione, le parti si chiudono in sé stesse. Le lobby si chiedono quanto parlerà il papa di schiavitù, omosessuali, mercato, capitalismo, donne, misurando col centimetro del risentimento – magari motivato storicamente - le sue parole, non ascoltandole a mente serena.

Papa Francesco va in America con lo stesso passo che tanta fiducia tra la gente e tanti dubbi nella Curia provocano a Roma. Guardando alle persone, non ai corsetti ideologici, ai problemi, non agli slogan. Non si tratta di concludere che il papa ha sempre ragione (sulla Siria, per esempio, certe sue scelte sono state disastrose), ma il suo sguardo verso il futuro non è marxista, peronista, ideologico.  

Il mondo cieco  

È solo persuaso, giustamente, che gli occhi del XX secolo non vedano più, né all’Avana delle barbe canute né a Washington dei politici foraggiati dalle lobby, i guai del XXI e non sappiano dunque riconoscere le nuove idee. Il tono di Francesco, umile, ironico, familiare, tollerante sarà balsamo per chi, cattolici e no, soffre i toni e modi insolenti con cui Donald Trump e i suoi inani rivali, si affrontano nei primi dibattiti alle primarie repubblicane. Un leader che ascolta sorridendo nella stagione dei sordi populisti che digrignano i denti, non può che raccogliere folle festanti.