Nel 2008 lo studioso Nicholas Carr scrisse sulla rivista The Atlantic un saggio che sollevò polemiche, «Google ci rende stupidi?», argomentando che l’eccesso di testi disponibili online accelera la nostra superficialità e ci rende più avvezzi a un tweet di poche lettere che non alle 1472 pagine del romanzo di Tolstoj Guerra e pace. Clay Shirky, professore alla New York University, difese il web definendo «alla fine noioso» il capolavoro russo, evidentemente non letto, e da allora il tema oppone gli Apocalittici, come li chiamava Umberto Eco al tempo dei mass media, persuasi che Internet semini ovunque ignoranza, e gli Integrati, paladini felici della Biblioteca online. 

La realtà, maestra severa, spiazza invece tutti, i corrucciati Apocalittici con la penna stilografica inastata e i sorridenti Integrati, con il Kindle d’ordinanza, quando la rivista The New Yorker pubblica, pochi giorni fa, il racconto della giovane scrittrice Kristen Roupenian, Cat Person (https://goo.gl/tUWo7L). È la storia, in piana prosa postmoderna, dell’amore difficile tra Margot e Robert, Lei studentessa di 20 anni che non può ancora bere al bar (ne servono 21) e fa qualche soldo vendendo popcorn e dolciumi al cinema, dove abborda Lui, cliente di una decina d’anni più vecchio.  

All’inizio Margot trova Robert «carino», ma presto si disamora, perché ha la «pancia pelosa», non si diverte quando lei scoppia a ridere se le chiede «Sei vergine?», imbranato, non disinvolto come lei, con social media e sms. 

La storia finisce male, un epilogo tutto online, con Margot che fredda Robert - perfino l’amica Tamara la giudica troppo aggressiva -, «Ciao tu non mi interessi basta mandarmi sms», e Lui che insiste, dapprima con dolcezza, poi con gelosia, intuendo che la ragazza ha spifferato del flirt disastroso agli amici, e infine la insulta: «Puttana». Il racconto di Roupenian - che ha studiato a Harvard, s’è impegnata nel volontariato in Africa e tra le donne - ha talento narrativo e piglio freddo, minimalista si sarebbe detto 30 anni fa, novella redatta come sceneggiatura da serie tv. Ma non è il valore letterario a far di Cat Person un caso, è la reazione che il racconto innesca online, nel mondo che Carr e seguaci ritennero, sbagliando, suburra di ignoranza.  

Il testo gira come mai nessuno del New Yorker, rivista che pure ha ospitato i maestri della narrativa, Cheever, Salinger, De Lillo, Wallace. Il pubblico si divide, molti maschi considerano Margot una manipolatrice crudele e Robert l’ultimo dei romantici, tante donne condannano Robert come semi stupratore cinico e assolvono Margot, ingenua e generosa. Il racconto ha ora un account twitter, @mencatperson con 8340 membri (mentre scriviamo almeno), comunità che le femministe Anni Settanta avrebbero definito di «autocoscienza», dove gli uomini espongono, sentimentali e fragili, le debolezze sfregiate dalle ragazze del XXI secolo, toste alla Margot. 

Il New Yorker era un luogo così riservato che ai tempi di William Shawn, direttore 1952-1987, non era bene educato conversare in ascensore (Shawn, se qualcuno lo faceva, imponeva al ragazzo che manovrava la cabina «Fermati. Voglio scendere!»). Adesso viola uno dei canoni della tradizione letteraria - un autore deve rimandare i critici alla trama, non schierarsi sul proprio testo - e chiede alla Roupenian, in una buffa intervista, di intervenire nella diatriba. Come una vera blogger, la scrittrice non si sottrae, e si schiera con Margot, «ho simpatia sincera per lei…», accusando Robert per averla insultata nell’sms finale e averle offerto una birra anche senza età legale (gesto che milioni di persone, in America, commettono ogni weekend, compreso con le figlie). 

Il successo è fantastico, virale si dice online, e la Roupenian vende il primo manoscritto inedito, raccolta di racconti dal titolo You Know You Want Thisall’editore inglese Jonathan Cape per 700.000 euro, prezzo strenna per una debuttante. Qui il lettore coglie la novità che Carr non seppe cogliere: non è la tecnologia in sé a mutarci, è l’intreccio tra nuove culture, intrise di narcisismo alla Margot, e tecnologia digitale e personal. Roupenian commenta i suoi personaggi in pubblico, con la stessa nonchalance con cui Margot rende noti i messaggi dell’inetto Robert, e confessa senza imbarazzo che si tratta di esperienze personali, «mi ha ispirato un breve, pessimo, incontro con un tizio conosciuto online…», anche se non spiega se il partner infelice sia trascritto in Lei o in Lui. 

Immaginate Tolstoj che dichiara candido su Google «Detesto la squinzia Natasha, Andrej è un po’ pirla, alla fine vince Pierre ma che noia!», Manzoni che assicura via Twitter «Renzo ha gli attributi, Lucia è una gatta morta, Don Abbondio se la cava sempre», Omero che su Facebook lancia il classico post «Achille ha una sindrome post stress, Ettore è una brava persona ma buonista, Menelao merita le corna di Elena, una vera donna libera!». 

Benvenuti nella fiction digitale, dove ogni opera è aperta, ogni trama si modifica online e i lettori votano a like e click vita e morte dei personaggi, come a X Factor.