Due miliardi e 225 milioni di esseri umani ammalati con il coronavirus. Decine di milioni di morti. Immaginate questo scenario, confrontandolo con il panico globale, le città chiuse, l’economia a picco e le Borse cadute ai livelli della crisi finanziaria del 2008, della minacciata pandemia di oggi, con i tremila morti che stiamo affrontando. È, in proporzione, la situazione del pianeta di un secolo or sono, 1918-1920, ai tempi della Prima guerra mondiale, con l‘epidemia dell’influenza detta Spagnola, anche se la Spagna in realtà soffrì meno di altre nazioni. Vivevano allora sulla Terra meno di due miliardi di persone, si ammalarono in 500 milioni e gli storici stimano che il virus H1N1 uccise tra 50 e 100 milioni di pazienti, in Europa e in Asia, nel Pacifico, al Polo Nord, in America. I grandi ospedali da campo con i reduci denutriti delle trincee che ora guardiamo al cinema nel kolossal “1917”, le città macilente, le campagne affamate restarono preda del male, guerra feroce quanto la guerra.

La memoria della sofferenza dei nostri antenati ritorna in questi giorni di paura, con la nostra era digitale e globale atterrata dal virus. E, mentre dalla Cina all’Italia, le città chiudono uffici, scuole, fabbriche, chiese e stadi riaffiora la saga di Gunnison, cittadina del Colorado, negli Stati Uniti, che si salvò dalle stragi dell’influenza 1918 con un rimedio radicale. Su ordine delle autorità locali Gunnison si rinchiuse in se stessa, alzò barricate lungo le polverose strade, bloccò la stazione ferroviaria, confinò in casa tutti i cittadini, sbattendo in quarantena chi voleva entrare e in galera, senza complimenti, chi osava disobbedire al diktat sanitario.

Ancora oggi gli studiosi di epidemiologi analizzano il caso Gunnison, una comunità di montagna, isolata, ma unita al mondo dalla ferrovia che, da pochi decenni, arricchiva la sterminata repubblica americana. Vivevano allora a Gunnison 1390 persone, 5590 nell’intera contea. Il solo passatempo, novità assoluta, era il cinematografo, che le famiglie affollavano nel week end. La comunità si riuniva in chiesa, la religione fervida per tutti. Ma, come annotano le vecchie cronache del foglio News Champion, stampato a mano in tipografia, dalla vicina Telluride arriva la notizia di un ballo, una contraddanza con felici piroette e crinoline, che aveva contagiato parecchi pazienti e, “in appena sei giorni, ucciso due bellissime Signore e due dei migliori ragazzi della città”. Dalla grande Denver i dispacci telegrafici erano foschi, nei primi quindici giorni dell’ottobre 1918, 78 morti, 9000 casi di “Spanish flu” accertati nello stato. L’austero governatore Julius Gunter impone ai sindaci di proibire balli, feste, mercati, fiere agricole, parecchi disobbediscono e pagano un tragico prezzo.

Non i montanari di Gunnison. L’assessore alla Sanità, appurato con il medico condotto F.P. Hanson che non c’era in città nessun caso di contagio, fece montare barricate lungo le strade di accesso, pattugliate da guardie e soldati, fucile Remington in spalla. Ogni famiglia rimase in casa, consumando le provviste e nutrendosi con i prodotti dell’orto, il capostazione avvisava i passeggeri in transito “Se scendete a Gunnison andate dritti in quarantena”. Uno solo fa il furbo, salta sulla scarpata prima della sosta e si rifugia da qualche parte in un pagliaio. Lo beccano subito e passa l’inverno in cella.

Non ci furono proteste, era gente dura, abituata a vivere di poco. Anzi, mentre da lontano affioravano i numeri dei morti, Gunnison si strinse intorno a se stessa, solidale. Buio di notte, silenzio di giorno, i cani randagi padroni di Main Street. Si temeva la “cabin fever”, la febbre delle capanne, claustrofobia che d’inverno faceva ammattire i pionieri, ma invece la disciplina protestante regnava sovrana e la Spagnola fu lasciata fuori dai posti di blocco e dai cavalli di Frisia scolpiti in legno di betulla. La quarantena fu affidata al dottor J.W Rockefeller che non ebbe mai nessuna debolezza. Quando tre cowboy, gente non abituata al corral, il recinto del bestiame, decisero di passare al largo dall’assedio di Gunnison, i dottori Hanson e Rockefeller furono subito informati. I tre mandriani andavano a riunire capi di bestiame dispersi e, con il codice d’onore della prateria, avevano chiesto alla famiglia dei Baker, vecchi pionieri, ospitalità. Rockefeller ruppe la tradizione del Far West e internò tutti in quarantena. Dalla vicina cittadina di Silverton, che non aveva preso la draconiana misura di Gunnison, notizie spietate, 883 ammalati, 125 morti.

Natale fu fosco, niente messe, alberi, canti in piazza, tacchino in tavola, boccali di sidro. Nel gennaio del 1920 i primi borbottii, con i campi da curare, l’artigianato da riprendere, l’anno scolastico che rischiava di saltare. E finalmente Hanson e Rockefeller fecero abbattere i tronchi e Gunnison rivide il mondo il 3 febbraio. La Spagnola si prese una sua rivincita, facendo subito quattro vittime, giovani che s’erano precipitati al lavoro. Nulla però davanti ai 49.000 malati del Colorado e agli 8000 morti. Gunnison aveva beffato l’epidemia.