«Ogni uomo ha il suo punto di rottura», ama dire il senatore John McCain. Il suo è alto, la vita lo ha testato con violenza. Il 29 luglio del 1967, 30 anni, pilota della Marina Militare Usa sulla portaerei Forrestal, al largo del Golfo del Tonchino, guerra del Vietnam, sopravvive al missile Zuni che, innescato per errore, fa 134 morti tra i marinai e danni per mezzo miliardo di dollari di oggi. Pochi mesi dopo, 26 ottobre, la squadriglia di McCain, 20 aerei leggeri A-4, è in missione sulla capitale nemica, Hanoi, per colpire una centrale elettrica. I piloti vedono sul vicino porto di Haiphong le navi sovietiche scaricare i micidiali missili Sam, ma non possono, per ordine diretto del presidente Johnson, colpirle.  

Così l’inviato dell’agenzia France Press, Bernard-Joseph Cabanes, ricorda la battaglia: «Fiammate arancione, aerei colpiti, poi le macchie nere dei piloti che si catapultavano dall’abitacolo. Volare su Hanoi era una missione suicida». McCain viene colpito da una batteria del 61° Battaglione Missili comandato da Nguyen Lan, camuffato in una boscaglia a 20 chilometri dalla città. Dopo due cilecche, Lan fa centro: «l’azienda elettrica non si fermò, le bombe di McCain uccisero qualche carpa del laghetto». In quel laghetto il fato precipita McCain a cercare il suo punto di rottura, 800 km l’ora, braccia e un ginocchio spezzati. I contadini l’attaccano ancora svenuto, colpi di baionetta su caviglia e basso ventre. Seguono sei anni di torture in campo di concentramento, fino alla liberazione nel ’73, e un documento firmato a forza, per accusarsi di essere «un pirata dell’aria».  

Il destino cerca ora il punto di rottura di McCain, senatore dell’Arizona e, nel 2008 candidato del partito repubblicano alla Casa Bianca, infliggendogli un cancro al cervello, glioblastoma GBM, male che consuma in pochi mesi. Un destino nemico delle leggende, perché lo stesso GBM stroncò, 25 agosto del 2009, il senatore democratico Ted Kennedy: commuove, rileggendone le biografie, scoprire McCain e Kennedy come gemelli, ancor prima della dura diagnosi. Entrambi nati nei tragici Anni Trenta del XX secolo, il ’32 per Ted, il ’36 per John, rampolli di dinastie storiche.  

Per Kennedy il padre Joseph, magnate di Wall Street e ambasciatore a Londra, i tre fratelli caduti in servizio, Joe jr. eroe di guerra, John, presidente, Robert, senatore. Per McCain il nonno, John sr, e il padre, John jr, come lui diplomati all’Accademia Navale di Annapolis, poi in carriera fino alle 4 stelle da ammiragli. Suo padre comanderà la flotta Usa in Vietnam durante la prigionia del figlio, i vietnamiti offrono a McCain la libertà prima dei compagni, detenuti nel carcere detto Hanoi Hilton, ma, quando rifiuta, lo torturano con più ferocia. Nei tre Natali di prigionia di McCain, il padre si espone al fuoco nel punto più avanzato del fronte, tra le proteste dello Stato Maggiore. «Devo star vicino a John oggi» commenta ruvido. 

Sia per McCain che Kennedy la Casa Bianca resta miraggio, Kennedy perde la nomination contro Carter 1980, con il mitico discorso «Il sogno non morirà mai», McCain, nominato dai repubblicani 2008 contro Obama, in vantaggio fino alla crisi di Lehmann, si vede poi superato dal giovane rivale. Entrambi si guadagnano sul campo l’intraducibile marchio da «maverick», cane sciolto. McCain ha dato filo da torcere al presidente Trump, che detesta (in privato lo definisce «imboscato» per non aver combattuto in Vietnam), Kennedy era stato per Carter spina nel fianco.  

Entrambi hanno conosciuto i titoli amari degli scandali, la morte in un incidente della segretaria Mary Jo Kopechne, dopo un party per Kennedy 1969, il caso «Keating Five», la corruzione delle Casse di Risparmio 1989 per McCain. Ne sono emersi, feriti, a battersi per i loro valori, solidarietà sociale per Kennedy, libero spirito individuale per McCain, scanzonati ribelli, figli di un’America che faceva a cazzotti per la politica -come nel Giro del Mondo in 80 giorni di Verne -, ma poi andava a bere una birra, insieme, sotto la bandiera. Un’America che, così Ted e John temevano, può ora perdersi, perché anche le nazioni, come gli uomini, hanno il loro punto di rottura.