Rattenkrieg, guerra da topi, chiamavano la battaglia di Stalingrado, i fanti tedeschi, combattendo casa per casa, nelle fogne, contro i soldati del generale russo Chuikov, alla fine del 1942. «Gli animali scappano da questo inferno ardente, le pietre si sciolgono, solo gli uomini resistono» scriveva un veterano di allora. Oggi la guerra da topi si combatte a Kobani, al confine tra Siria e Turchia, assediata su tre lati dai fondamentalisti dell’Isis e difesa da disperati miliziani e civili curdi. I raid dell’aviazione Usa non fermano l’offensiva Isis e l’opinione pubblica mondiale si chiede perché una coalizione che comprende l’esercito più formidabile e tecnologico della storia e vari Paesi arabi, non abbatta le nere bandiere Isis.

Per comprenderlo - scrive la rivista Foreign Policy - il 13 e 14 ottobre il Capo di Stato Maggiore americano generale Martin Dempsey incontrerà a Washington una ventina di Paesi della coalizione anti-Isis tra cui Regno Unito, Francia, Belgio, Danimarca, Arabia Saudita, Emirati. Non confermata, ma possibile, la presenza dell’Italia: se uno dei nostri militari intervenisse all’incontro farebbe bene a portar con sé una copia originale del saggio «Il dominio dell’aria», pubblicato nel 1921 dal generale italiano Giulio Douhet. Nome troppo dimenticato da noi, ma considerato nelle accademie «il Clausewitz dell’aria», Douhet ebbe vita da film (previde la rotta di Caporetto e dunque, come capita in Italia, il generale Cadorna gli fece affibbiare un anno di carcere militare…), organizzò in Libia i primi bombardamenti da alta quota e lavorò allo sviluppo dell’arma aerea, fino a sognare guerre vinte solo da aerei.

La storia, finora, non ha confermato le teorie futuribili del geniale Douhet, «il dominio dell’aria» non basta. Tra 1944 e 1945, umiliata la Luftwaffe del borioso Göring, gli alleati ebbero il controllo dei cieli sulla Germania. «Bomber» Harris, comandante inglese che coordinava i bombardamenti strategici, si illuse di spezzare la produzione bellica nemica, ma, pur in città rase al suolo l’architetto Albert Speer, cocco di Hitler e responsabile dell’industria militare, riuscì a mantenere ritmi frenetici sfornando armi e munizioni. Dopo la guerra, una commissione alleata, tra i membri il futuro economista kennediano Galbraith, non poté che prender atto, malinconicamente, dello scacco.

Solo 9 anni più tardi, nel 1954, i francesi a Dien Bien Phu, Vietnam, pur controllando lo spazio aereo anche grazie a piloti americani in grado di lanciare paracadutisti in soccorso alla piazzaforte assediata del generale De Castries fino all’ultimo, non riuscirono a impedire né il trasporto dei cannoni del generale Giap (via biciclette…), né l’assalto finale alla piazzaforte, come racconta nel magnifico «Hell in a very small place» il testimone Bernard Fall. 11 anni dopo, nel 1965, tocca agli americani verificare i limiti della teoria di Douhet, in una battaglia poco nota ma decisiva nella valle di Ia Drang. Il colonnello Moore arriva con i suoi elicotteri, che fin lì hanno terrorizzato i contadini-soldato di Ho Chi Minh, spesso poco avvezzi perfino alle automobili. Invece a Ia Drang - la ricostruzione nel film di Hollywood «Eravamo soldati» con Mel Gibson nella parte di Moore - i vietnamiti accerchiano i soldati e colpiscono gli elicotteri, spesso usando la tecnica del «cacciatore di anatre», sparando parecchi metri avanti il rotore, finendo magari falciati dai mitraglieri, ma con il pilota che l’abbrivio trascina tra le pallottole. B52, napalm, deforestazione, bombardamenti su Hanoi e Haiphong non bastano. I vietnamiti creano la loro «rattenkrieg» nei tunnel di Cu Chi, spostandosi, vivendo, armandosi, curando i feriti in un’immensa città sotterranea.

Unica eccezione, che il generale Dempsey e i suoi alleati esamineranno a Washington, è la campagna nei Balcani del generale Nato Wesley Clark, che alla fine degli Anni 90, con una serie coordinata di bombardamenti - l’Italia tra i belligeranti - piega il regime serbo di Slobodan Milosevic. Chiesi a Clark «Prima guerra vinta da Douhet?», sorrise «Per ora sì».

Kobani non sarà Belgrado, Milosevic cadde per la politica, non solo per la guerra. I carri armati, l’artiglieria, i sistemi di puntamento Isis sono bersaglio per i raid fino a un certo punto, poi diventa difficile localizzarli, specialmente tra le case. I curdi implorano armi anticarro, visori notturni, munizioni e bombardamenti massicci. I profughi vedono oltre una siepe di filo spinato la fanteria turca Nato in attesa, fermata dal leader Erdogan che intende seminare dissensi tra le fazioni curde e pressare il presidente Obama contro Assad.

Conclude l’analista curdo Mutlu Çivirolu «Kobani è un’isola circondata dall’Isis. A Ovest c’è Jarabulus, a Sud-Ovest Manbij, a Sud Raqqa, a Est Tal Abyad» se Kobani cade il regno Isis si connetterà. La Guerra dei topi arriva nel XXI secolo, gli aerei di Douhet non la vinceranno. Servirà la fanteria.