L’Europa è finita all’alba della festa di San Giovanni, la notte più importante per il continente dalla fine della 2a Guerra mondiale. Tanti vi diranno ora che la colpa dell’addio britannico all’Ue è del vacuo premier Cameron, degli inani burocrati di Bruxelles alla Juncker, dei populisti, l’ex sindaco di Londra Johnson o il conservatore Gove, di Berlino drogata dall’austerità, del laburista Corbyn che sogna i vecchi picchetti dei minatori. Non ascoltate. 

Ciascuno di questi leader mediocri ha le sue colpe e la Storia li castigherà, ma a persuadere una maggioranza di inglesi, vecchi contro giovani, licenza media contro laureati, campagna contro città, a votare Sì al Brexit è stato il risentimento contro il presente. Una miscela acre di angosce per il lavoro che scompare e l’emigrazione che cresce, glassata dalla nostalgia per il miraggio di un passato romantico, pub, posto fisso, Regina, orgoglio Brit. 

 

Donald Trump chiama «globalismo» questa ondata populista - nessuno si offenda, «populismo» è definizione scientifica per chi mobilita paura e non ragione dei cittadini - e vuol fare della corsa alla Casa Bianca il suo referendum antiglobalista, con la Clinton campionessa dello status quo, come Merkel e Hollande in Europa. «Battere il globalismo» illude i cittadini infuriati di castigare banchieri e rifugiati, invece impone dazi e tariffe contro il libero commercio, muri e reticolati contro l’emigrazione, disprezzando cultura e scienza - il deputato Gove ha irriso gli «esperti», dando alla piazza un totem di ignoranza da adorare -, diffidenza per la tecnologia, rifiuto preconcetto di dialogo e tolleranza. La formula aspra «Noi contro Loro» ha vinto in Gran Bretagna con #Brexit, ha vinto nel partito repubblicano Usa con Trump, è in testa alle presidenziali francesi 2017 con Le Pen, ha mobilitato gli elettori dietro i neo sindaci Raggi, Appendino e De Magistris, i cui post sul web grondano «antiglobalismo». 

 

I leader, gli intellettuali, gli economisti, tecnocrati e imprenditori che hanno sostenuto in questi anni il mondo globale hanno (abbiamo, sia detto con profonda umiltà) molte colpe di elitismo e arroganza, per non aver saputo prevedere come crisi finanziaria 2008 e automazione avrebbero consunto standard di vita per ceto medio e operai, amareggiati dalla crescente disuguaglianza. Soddisfatti per le centinaia di milioni di poveri che il mercato globale ha sottratto alla fame in Asia e America Latina (il progresso maggiore nella storia dell’umanità, in soli 30 anni, ora esteso all’Africa) non hanno (non abbiamo) visto il risentimento delle nostre periferie. 

 

Ma #Brexit, Trump, Le Pen e i loro compagni di strada non sono la risposta giusta per correggere gli errori del libero scambio di idee, persone, lavoro, ricchezza. Campagne e sobborghi, anziani e chi non ha finito la scuola secondaria hanno votato in massa #Brexit, le metropoli vibranti di energia, i giovani, i laureati hanno votato Europa. I social media, calderone dove Globalismo è strega da bruciare ad ogni clic, obiettano a questi dati, crudi nella loro verità, che in democrazia un voto vale un altro, centro o periferia (vedi identica distribuzione voto italiano Grillo-Pd) nessuna differenza. Vero in teoria, in pratica la Gran Bretagna che produce ricchezza e lavoro ha perso e ha vinto quella che declinerà nel XXI secolo. Google trend registra boom ricerche «E ora succede?» dei tanti che hanno votato di pancia e non di testa. 

 

Le Borse ballano, la sterlina soffre, si corre all’oro. I leader #Brexit diventano di colpo campioni di diplomazia, tubano di modello Norvegia, intese con Merkel e Obama. Mediazioni e accordi si faranno, ma la cecità di Bruxelles, austera fino alla morte per difendere le industrie tedesche, pavida fino al midollo su innovazione e digitale, persuasa che si debba investire in sussidi al Camembert mentre si fa guerra a Google e Facebook e non ci si prepara ai conflitti militari prossimi, ha chiuso il caso. Populisti britannici e burocrati europei sono i complici del delitto #Brexit. 

 

«L’ora più triste» scrive Martin Wolf, decano del Financial Times, britannico figlio di profughi ebrei sfuggiti a Hitler. Profezia amara che potrebbe rivelarsi perfino ottimista, perché se cediamo alla cupa crociata antiglobalista, nazionalismo, xenofobia, autoritarismo e impoverimento dilagheranno in Europa: ieri con #Brexit hanno festeggiato Putin, l’Iran, Le Pen e Trump. Il risentimento contro l’establishment ha profonde radici, ma i lettori diffidino da chi, in nome di un bugiardo ritorno alle glorie passate, li guida verso l’odio, l’isolamento, l’ignoranza e il declino, economico e morale.