A cent’anni di distanza dall’accordo di Sykes-Picot del 16 maggio 1916, la Luiss School of Government ha riunito nell’aula Toti il direttore de La Stampa Maurizio Molinari, il giornalista e condirettore del Master Luiss MACOM Gianni Riotta, il direttore della School of Government Sergio Fabbrini e il professor Massimiliano Panarari per una riflessione sul Mosaico mediorientale. Che ne è oggi degli Stati falliti del Medio oriente? Che cosa possono fare il mondo e l’Europa per fermarne la brutalità? Questi i quesiti di partenza dell’intenso seminario che ha visto il coinvolgimento degli interessati studenti Luiss.

Proprio con l’accordo di Sykes-Picot ha aperto le danze Maurizio Molinari, analizzando come le decisioni prese da Francia e Gran Bretagna alla fine della Prima guerra mondiale per il riassetto del territorio dell’Asia Minore siano inesorabilmente in decomposizione. La Siria, l’Iraq, la Libia sono solo alcuni degli Stati nati dall’accordo che non esistono più; sui quali non c’è un’istituzione che esercita il controllo e garantisce sicurezza. In questo orizzonte di degenerazione istituzionale degli stati arabi, emerge nell’universo sunnita un sentimento ancestrale, fondamentalista, che anela un ritorno alla purezza dell’Islam.

La spinta fondamentalista, continua Molinari, non è soltanto quella violenta e jihadista che siamo abituati a vedere in Tv. Si tratta piuttosto di un tratto identitario essenziale dell’Islam, riscontrabile anche nei Fratelli mussulmani dell’ideologo egiziano Hasan al-Banna. Un’organizzazione islamista che ha scelto un approccio di tipo politico all’Islam, rinunciando alla lotta armata come mezzo per ottenere il potere.

Tra Stati-nazione in decomposizione e gruppi fondamentalisti che si rafforzano, si afferma la violenta corrente di Daesh che quando sostiene di dominare su Bilad al-Sham, la storica regione del Medio oriente, sa di far leva su questo reale principio d’identità islamica. Un principio, sostiene lucidamente Molinari, che non scomparirà se Daesh sarà spazzato via, ma rinascerà in altre forme come la storia stessa ci dimostra.

Siamo alla canna del gas?

Dobbiamo innanzitutto abbandonare, ha affermato Gianni Riotta, la vulgata diffusa secondo cui, in una dialettica amico-nemico, è necessario cercare il colpevole laddove non riusciamo a spiegare le ragioni di un fenomeno. Che ci piaccia o meno, ha sostenuto l’editorialista de La Stampa, una parte del mondo ha dichiarato guerra alla modernità. Quando guardiamo il mondo orientale lo interpretiamo sempre a partire dalle nostre premesse di occidentali, pensando di poter agire per migliorare o occidentalizzare il mondo. Quello che emerge in questo contesto di disordine è piuttosto che alcuni aspetti della realtà siamo costretti a subirli senza poter neppure spiegarci il perché. Si mostra d’accordo Sergio Fabbrini che evidenzia come l’ordine mondiale sia ormai privo di un centro e gli Stati falliti del Medio oriente rappresentino il fallimento della modernità tutta.

Come reagire alla decomposizione degli Stati arabi? Che ruolo può avere l’Europa? Queste le domande a cui analisti ed esperti di geopolitica cercano risposta. Maurizio Molinari, a questo proposito, consiglia innanzitutto di abbandonare le categorie del passato. Quando la storia accelera, sostiene il direttore, sfida la nostra capacità di comprensione ed è necessario studiare attentamente il fenomeno in modo nuovo. Chi in questo momento sembra sia stato in grado di studiare il nemico e agire nella sua logica è Vladimir Putin. Il Presidente della Federazione Russa ha capito che il principio da affermare è quello della deterrenza. Per essere rispettati è necessario far intendere al nemico che si è pronti e molto potenti. Minacciare e non necessariamente esercitare la forza, secondo il principio latino si vis pacem para bellum. È necessario poi scommettere su quelle forze modernizzanti che vivono all’interno dei paesi mussulmani, che lottano per l’ottenimento dei diritti e passano per le donne.

All’interno dei paesi europei, invece, la politica del contenimento si ottiene solo attraverso una completa integrazione e un modello collaborativo di sicurezza. L’integrazione, ha sostenuto Gianni Riotta, non ci servirà per evitare che vi siano terroristi ma farà sì che i loro vicini di casa e tutti gli altri cittadini maturino quel senso di responsabilità che li porti a collaborare con le forze di sicurezza. If you see something, say something è il monito della metro di New York, un consiglio necessario per questi tempi di crisi.