In pochi mesi, con pochi gesti e parole, Papa Francesco ha rivoluzionato il nostro modo – decrepito – di studiare la comunicazione. Da decenni eravamo grippati sul motto, spiritoso e vacuo, dell’ex critico letterario Marshall McLuhan, diventato studioso dei media: «Il mezzo è il messaggio», persuasi che il «mezzo», tv, giornale, radio o web, determinasse la natura profonda del messaggio.  

Era un’incongruenza, specialmente nell’era ubiqua della comunicazione web, eppure la formula magica accecava teorici e pubblico, ipnotizzandoli sul «mezzo», la tecnologia corrente, e rendendoli distratti, indifferenti, al «messaggio». 

Papa Bergoglio ha compreso una verità che è insieme evangelica e filosofica: nel mondo dell’online 24 ore su 24 non è più lo strumento, ormai onnipotente e onnipresente, a contare. Ciascuno, cittadino o istituzione, artigiano o azienda monopolista, ha accesso al web, ma perché un messaggio risalti nel rumore di fondo assordante deve avere una sua verità, un significato. Come Gesù, serve parlare la lingua di tutti e in essa intrecciare i valori. Papa Wojtyla comunicava con la virilità del profeta che nella vita s’era scontrato con il totalitarismo e il consumismo. Papa Ratzinger è un intellettuale, professore adorato dagli studenti prima del 1968, in evidente disagio al ritmo ossessivo dei media. 

Papa Francesco ha la felicità di comunicare in diretta mondiale come predicasse in parrocchia a Buenos Aires, di twittare come al catechismo dei ragazzi (e dovrebbe cambiare handle twitter, @pontifex troppo ieratica per lui), di andare sui giornali come se fossero bollettino di quartiere. La sua comunicazione incanta fedeli e no, «funziona» come si dice in gergo, perché priva di «spin doctor», nuda di strategia e public relations, quindi credibile. Il Papa persuade perché «è» autentico. Quando si proclama solo Vescovo di Roma dal balcone di San Pietro, dopo l’elezione, la piazza applaude l’umiltà spontanea, ma studiosi come Alberto Melloni segnalano subito l’apertura ai Cristiani ortodossi e infatti il Patriarca Bartolomeno va alla Messa di inaugurazione del Papa, ritorno storico dal remoto 1054. 

La telefonata di scuse al giornalaio di Buenos Aires, il panino portato alla Guardia Svizzera, le lunghe ore di lavoro, l’appello brusco ai giovani «non lamentatevi», il monito a preti, suore, prelati a non indulgere al lusso, la decapitazione dei vertici Ior, una condotta «no nonsense», dove la semplicità schietta prevale sull’intrigo machiavellico, appassionano i cattolici e attraggono l’attenzione dei laici. Con la politica prigioniera del calcolo a breve, la cultura confusa nel labirinto snob-nichilista, spettacolo e sport preda di volgarità e materialismo, il mondo cerca leader che guidino con l’esempio, non con la comunicazione scaltra. E la stessa Chiesa Cattolica, non solo in Italia, ha avuto scandali al punto da far gridare a Ratzinger, nell’Omelia del Venerdi Santo 2005, l’allarme sulla sporcizia che sommerge la barca cattolica. 

Papa Francesco non minimizza i problemi, ma, con buon senso da porteño di Buenos Aires, invita a rimboccarsi le maniche e darci dentro, senza troppo rognare, con un sorriso e sperando nella Provvidenza. Siamo tutti così assetati di valori positivi che ascoltiamo. Attenti, laici o fedeli, al messaggio, scordandoci del mezzo che lo trasmette, con la monotonia dei mass media standard scaldata a confidenza personale, da amico. Bergoglio archivia McLuhan, il mezzo non è più, finalmente, il messaggio: e McLuhan, devoto cattolico convertito da giovane alla Chiesa di Roma, non se la prenderebbe di certo a vedersi superato da «questo» Papa.