Nell’antica vena romantica russa un passante ha lasciato sul ponte dietro il Cremlino dove è caduto l’ex vicepremier russo Boris Nemtsov un biglietto e un mazzo di rose “Senza te, non verrà primavera”. La buona stagione verrà, ignara dei tormenti politici del nostro tempo, e vedremo come e se i quattro colpi di pistola contro uno dei ultimi oppositori al leader Vladimir Vladimirovich Putin influiranno sulle relazioni Russia-Usa-Europa.
    Nemtsov, che per un effimero momento sembrava poter succedere a Boris Eltsin e democratizzare il paese, si aggiunge a una lista di vittime del potere politico, ormai triste e lunga: Sergei Yushenkov 2003 e Yuri Shchekochikin, Anna Politkovskaya 2006, Stanislav Markelov, Anastasia Baburova e Natalia Estimirova 2009. Poche ore prima di essere ucciso, aveva confessato al Financial Times “Eravamo opposizione, siamo solo dissidenti”, riconoscendo come il Cremlino abbia reso marginale chiunque resista alla linea ufficiale di Putin. Per qualche sito in Occidente e per i pochi oppositori russi ora anche Nemtsov è un martire, ma in Russia i media ufficiali lo ritraggono da “spia yankee”, “agente della Cia”, “uno straniero, non uno di noi”. Un poster affisso nella metropolitana di Mosca lo denuncia come “Quinta colonna”, il termine con cui durante la Guerra di Spagna i repubblicani antifascisti all’assedio di Madrid definivano le colonne di spie franchiste clandestine. Nella memoria profonda russa un insulto violento.
    Ora Putin chiama la mamma di Nemtsov, 55 anni, e le promette giustizia parlandole di “provocazione” e assicurando “Condurrò personalmente le indagini” mentre la vecchia Pravda scrive senza timori “Al 90% dietro la morte di Nemtsov c’è la Cia” e le tv insistono “sulla bella modella bionda, ucraina, sottobraccio a Nemtsov al momento della morte...”. Il leader degli oppositori, Alexei Navalny, teme dunque che la manifestazione in preparazione –Nemtsov voleva diffondere un suo dossier segreto con le prove della presenza di truppe russe in Ucraina- possa dare una chance alla polizia di creare disordini e medita se trasformarla in una cerimonia di ricordo della vittima.
    In America, dove su tweet il presidente Obama e il segretario di Stato Kerry invocano invano giustizia per Nemtsov (nessuno dei delitti politici è stato chiarito e i killer puniti), gli analisti si interrogano come sia possibile che, mentre Casa Bianca e Cremlino sono in freddo e l’Europa con le sanzioni contro la Russia non accenna al disgelo, malgrado le pressioni di alcuni stati interni, con il rublo in picchiata, l’inflazione in ascesa e ancora pochi vantaggi dalla ripresa del greggio, in Russia il clima resti di violenza politica assurda.
    Non si tratta qui di entrare nel thriller, già partito online, di chi ha armato i killer, ripetendo il goffo errore italiano anni ’70 “Cui prodest?”, giova a Putin, no? dunque cercate altrove! Si tratta di capire perché in Russia opporsi a Putin implichi una sentenza di morte. Se dietro i killer ci sono gli uomini degli apparati di Stato, o se invece il governo tollera squadroni della morte “free lance”, poco conta. Chi si oppone muore e il messaggio è chiaro.
    Quando a Leningrado, nel 1934, Sergei Kirov, dirigente bolscevico di cui Stalin temeva l’ascesa, fu ucciso in un misterioso attentato, il dittatore georgiano avocò a sé l’inchiesta, avviando una purga orribile contro l’opposizione. I dissidenti a Mosca temono che l’operazione si ripeta 80 anni dopo, ma Putin potrebbe invece accontentarsi dell’effetto terrore, intimidendo i pochi democratici rimasti in giro.
    Come reagirà la Casa Bianca, come l’Europa, che diranno coloro che, come la ministro degli Esteri europea Federica Mogherini, insistono per la trattativa diplomatica con Putin? Il leader russo alza sempre la posta, dando ragione ai falchi, come il polacco presidente del Consiglio d’Europa Donald Tusk o al ministro svedese Carl Bildt, e irridendo le colombe, non certo per crudeltà o follia. È la sua strategia, quella che infine la cancelliera Merkel ha confessato ai suoi consiglieri “Noi cerchiamo l’ordine, Putin preferisce il disordine”.
    Gli europei, guidati da Berlino, hanno un piano che per logica diplomatica non fa una grinza, e infatti gli ambasciatori e i commentatori inamidati, lo approvano: impoverire la Russia con le sanzioni e l’isolamento, finché gli oligarchi, i magnati corrotti su cui si appoggia Putin, non andranno in fila indiana al Cremlino a proporgli “Vladimir Vladimirovich, ammorbidisciti, cerca un’intesa sull’Ucraina”. La debolezza del piano è la cattiva lettura politica e psicologica di Putin. Anticipando, come sa fare sulla scacchiera il suo grande avversario l’ex campione di scacchi  Kasparov, le mosse europee, Putin semina, o lascia seminare, il terrore a Mosca. Chi mai, a vostro giudizio, in questo clima, porrà obiezioni allo Zar del XXI secolo? Voi ne avreste il coraggio?
    Putin continuerà dunque ad alzare la posta, fidando che gli europei non avranno il coraggio di vedere il suo crudele bluff. I cinesi, con cui s’è legato con un patto sull’energia ma al cui confine schiera, diffidente, le truppe migliori, aspettano cauti.
    Restano gli americani del presidente Obama, nei cui confronti Nemtsov era stato critico fino al sarcasmo, trovandolo troppo debole. Obama spera che la strategia di attrito europea funzioni, e non ne ha in realtà una diversa e migliore. I repubblicani fanno i falchi, in campagna elettorale precoce 2016, ma arrivassero alla Casa Bianca alzerebbero i toni non le intenzioni. Putin teme Washington, e provoca Bruxelles e Berlino per vedere se mai gli americani reagiranno. La Guerra Fredda è stata vinta contenendo, in armi, l’Urss ma con l’unità strategica Usa-Europa. Nello smarrimento attuale Putin domina. E il motto amaro dello scrittore Anton Cechov “Mosca è una città che dovrà a lungo soffrire” si applica a tutta la Russia come al resto d’Europa, solo nella sofferenza, purtroppo, unite.