Davanti al cardinal Martini anche il più scettico dei laici riceveva l’impatto del carisma, la figura, alta, snella, ieratica, gli occhi severi, le mani strette nella concentrazione: perfino quando la malattia le serrò in spasmo, restarono bellissime.

Non c’era in Martini vezzo populista, si presentava come Principe della Chiesa, successore di Sant’Ambrogio e San Carlo, ma la regalità sacra non allontanava l’interlocutore, gli imponeva di guardare in alto. Non richiedeva attenzione per vanità, pur giustificata da fama, sapere, successo anche oltre la Chiesa cattolica. C’era severità, il rigore delle giornate di studio, protratte fino alla stagione passata in Terra Santa dopo gli anni a Milano, al ritiro nella casa di riposo a Gallarate, con la malattia a minare la salute, non la volontà di proseguire il dialogo con i fedeli attraverso il Corriere della Sera. La severità cresceva davanti al rango di chi aveva davanti, non faceva sconti al potere, quando un libro di Papa Ratzinger non gli sembrò di standard teologici adeguati lo disse. Con gli umili, i bambini, si ammorbidiva, ma a tutti Martini segnalava con la postura morale e fisica, la strada da percorrere verso quella che riteneva «la salvezza».

Nella vulgata dei media il biblista Martini era «progressista», da opporre al «conservatore» Giovanni Paolo II, al «politico» cardinal Ruini, all’«ex progressista della rivista Communio» Ratzinger. Non credo che mai nessuno abbia osato di persona proporre a Martini queste caricature, di cui era, dolorosamente, cosciente pur ignorandole, come ignorava il ronzio pettegolo dei salotti meneghini, che lo riduceva a «teologo» incurante dei doveri «pastorali».

I suoi doveri culminarono invece il 31 luglio 1991, 500 anni dopo la nascita di Sant’Ignazio da Loyola, fondatore dei Gesuiti cui Martini apparteneva dal 1952, nella Lettera pastorale «Il lembo del Mantello» che divenne, con la Cattedra dei non credenti per il dialogo tra uomini di fede e no, simbolo degli anni del cardinale nella metropoli lombarda, 1979-2002: «Fa’, o Signore,/ che le antenne e i campanili/ sappiano dialogare tra loro./ Aiuta la tua Chiesa/ a essere il popolo del dialogo,/ capace di dire e di praticare/ la comunicazione al suo interno e con tutti./ Fa’ che sappiamo educarci ed educare/ a un uso libero e liberante/ dei media, per riconoscere e valorizzare/ profeticamente in essi il lembo del mantello/ del Figlio tuo, fatto uomo per noi….».

Lo infastidiva l’etichetta di «progressista», si esaltava nell’esegesi della Bibbia, fu il solo studioso cattolico a lavorare al New Greek Testament, altro che «progresso». Ne «Il lembo del Mantello» Martini ricorda che «notizia» non è merce, è comunità, deve renderci fratelli, non nemici. Proponendo il dialogo «ai campanili e alle antenne» il cardinale non uguaglia Chiesa e media. Chiede ai media di non disprezzare la persona umana, non renderla «merce». Di dare fiducia, non seminare cinismo, ascoltare le ragioni degli altri. Per la Chiesa cattolica il paradigma di Martini è più formidabile: non rinchiudersi in un rancoroso «no» al mondo moderno, neppure accettarlo per paura si allontani o blandirlo, barattando col potere «spazi propri». Era persuaso che la verità del Campanile, la Bibbia, fosse più profonda di quella dell’Antenna. Ma con forza ricordava a chi lavora per il Campanile: la vostra Verità è sacra, ma voi siete fallibili come i dirimpettai dell’Antenna. Il Campanile non garantisce salvezza, l’Antenna non garantisce modernità.

Ho avvicinato il cardinal Martini nel 1993, dopo le bombe a Milano, per la trasmissione «Milano,Italia». In diretta tv, sulle parole del cardinale si impone lo sguardo, chiaro, senza soggezione e narcisismo. Non offriva conforto sentimentale, chiedeva impegno, consapevolezza. Nel 2010, la Diocesi mi chiese ancora di incontrare Martini per ragionare di Internet e social media. Martini viveva in un ex seminario dei Gesuiti frequentato da ragazzo: ora, ridotte le vocazioni e aumentati i sacerdoti anziani, è casa di riposo.

La nostra conversazione tv fu l’ultima che Martini registrò: «Su Internet incontro i grandi del passato e i dimenticati». Per Martini le ore del mattino erano le più dure, prima che i farmaci sciogliessero le membra contratte dal Parkinson. Quando il cardinale apparve, appena più curvo, la luce cobalto degli occhi era indomita, come il messaggio: che su Internet ci sia tutto deve incoraggiarci e non scoraggiarci, impegnandoci a separare vero da falso. Usare il web, mi disse, è come entrare «…in una biblioteca grande, dove ci vuole un criterio di scelta. Non posso andare in biblioteca e prendere i libri così a caso. Devo sapere cosa voglio, qual è la via che debbo seguire, quali sono le persone che posso ascoltare…». Gli chiesi se anche Google faccia ora parte de «Il Lembo del mantello» e rispose «Sì, certamente, perché il progetto di Dio è un progetto comunicativo, cioè ampliare la comunione tra gli uomini, e anche il progetto eterno di Dio sarà una grande comunione di tutti con tutti, quindi certamente questi media s’inseriscono in questo progetto». Dell’enciclopedia online Wikipedia parlò con tenerezza: «Io uso spesso Wikipedia perché mi aggiorno cercando di usare il computer, per cui vedo piuttosto il lato positivo. Si capisce che si può usare male di questo fatto e quindi creare una democrazia che non sia uguaglianza di tutti ma sia attitudine negativa verso alcuni; però gli usi sbagliati, sempre possibili, non tolgono importanza agli usi buoni». E all’ansia della morte del libro replicò di non far confusione tra mezzo e contenuto, i supporti mutano, le Verità no: «Sono preoccupato per le derive culturali, perché il libro rimane fondamentale, molto prezioso, quindi bisogna prenderlo in mano. Non sono tanto preoccupato per il fatto che la Parola (con la maiuscola) passi anche attraverso i vari media. Quindi, come dice Platone, la parola è soprattutto parlata, è detta, ma questo non toglie che i libri abbiano grande valore».

Poi si alzò per ritirarsi e mentre lo ringraziavo concluse «Speriamo di rivederci». Poi si congedò dalla troupe. Non fece segni palesi di benedizione, ma la sua grazia riempì la stanza e noi.