La giornata della memoria è stata fissata al 27 gennaio in ricordo della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. Ormai tutti conoscono la triste fama di questo e di altri lager come Dachau, Bergen-Belsen, Buchenwald, Treblinka, ma la serie di nomi stranieri non deve far dimenticare che l’Italia non fu estranea al fenomeno.

Anche l’Italia infatti, alleata della Germania non solo sul campo militare ma anche nelle politiche razziali, ospitò sul proprio territorio diversi lager. Una pagina poco conosciuta della storia della Shoah, ma che sta suscitando sempre più l’attenzione di storici attenti alla riscoperta di queste testimonianze.

In quanti conoscono che perfino in Calabria, sin dal 1940, era stato impiantato un campo di concentramento? Era il campo di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza, che ha visto transitare all’interno delle sue baracche ebrei e prigionieri di vario genere. Alcuni vi stazionarono solo in attesa di trasferimento, altri dovettero proprio alla loro permanenza nel campo calabrese l’avere attraversato indenni gli anni della guerra.

Ebrei e prigionieri politici vivevano all’interno di baracche allineate in un recinto di filo spinato, ma i contatti con l’esterno erano frequentissimi. Ferramonti era un campo anomalo, e non poteva essere altrimenti vista la marcata perifericità della struttura. All’interno l’organizzazione era simile a quella di un villaggio. Così testimoniarono anche gli Inglesi al momento della liberazione, avvenuta pochi giorni dopo l’armistizio nel settembre 1943.

Nonostante la liberazione, però, il campo restò attivo fino alla fine del 1945, continuando ad ospitare come semplici profughi i prigionieri che prima vi erano internati. Moltissimi gli episodi di cooperazione tra internati di varia estrazione e cultura, e tra questi e la popolazione del posto. Basti pensare che molti prigionieri, e tra questi diversi ebrei, dopo la chiusura del campo scelsero di restare proprio in Calabria e si integrarono nel tessuto sociale locale.

La storiografia locale si sta occupando di Ferramonti, ora diventato un museo, ma sarebbe sbagliato sottolinearne solo l’aspetto di “campo concentramento buono”. Si trattava comunque di un luogo di detenzione, una istituzione nata per contenere le libertà dei singoli e tenerle sotto il controllo delle autorità. Proprio per queste particolarità è importante approfondirne le vicende, e raccogliere quello che resta della singolare memoria di questo luogo e delle persone che vi transitarono.