Al ballo che inaugurava la presidenza di George Bush, gennaio 1989, Lee Atwater, 37 anni, bel ragazzo del Sud, suonava la chitarra rock sul palco, emulo del suo leggendario maestro B.B. King. I potenti di Washington lo coccolano, Lee è inventore della «Strategia sudista», chiave della vittoria contro il democratico governatore del Massachusetts Mike Dukakis. In un’intervista, rimasta a lungo segreta, Atwater confessa: «Dal 1968, dopo la svolta dei democratici a favore dei diritti civili dei neri, ci basta che il Sud voti repubblicano…e si vince, ripetiamo “rigore fiscale, tagliare le tasse” e la gente intende…nel 1954 dicevamo “Dalli al Negro”, ora non si può e allora evochiamo il razzismo nel subconscio, dicendo “troppi sprechi per le minoranze” e gli elettori capiscono al volo».

Il successo imprevisto di Donald Trump, con la rabbiosa carica xenofoba e antimusulmana elogiata dagli epigoni del Ku Klux Klan razzista, ha radici, politiche e culturali, profonde. Atwater e i suoi seguaci, in mezzo secolo, hanno trasformato il rispettabile Gop di Lincoln, Eisenhower e Rockefeller in un sabba coprolalico, dove Trump sbraita «Obama ha f…Hillary» e Marco Rubio ribatte «Donald teme di farsela nei pantaloni ai dibattiti…».

Il distinto Dottor Jekyll repubblicano avvia la metamorfosi in Mr Hyde mostruoso, quando il presidente democratico Johnson approva le leggi per i diritti civili degli afroamericani nel 1965. Dalla Guerra Civile 1861-1865 i democratici sono il partito dei bianchi al Sud, lo sceriffo Bull Connor, che aizza i cani lupo contro i dimostranti di Martin Luther King, è democratico, come democratico è il governatore dell’Alabama Wallace che caccia i bambini neri da scuola. Alla Convention democratica del 1964 le delegazioni del Sud non hanno neppure un membro nero, il deputato di New York Powell intrufola un paio di studenti afroamericani a vantaggio di telecamera, i sudisti alzano la voce indignati.

Disgustati dalla politica del «busing», per integrare le scuole i bambini bianchi vengono portati in bus nei quartieri neri, gli ex democratici, impiegati e operai, votano repubblicano. La «strategia del Sud» premia per primo Nixon e crea il «catenaccio elettorale», teorizzato dallo studioso Bill Schneider, vittorie repubblicane 1952, 1956, 1968, 1972, 1980, 1984, 1988. Solo due governatori del profondo Sud, Jimmy Carter della Georgia, 1976, e Bill Clinton dell’Arkansas, 1992-1996, rompono il «catenaccio», ma l’egemonia repubblicana domina il Paese. 

Reagan filosofeggia «Non abbiamo lasciato noi il partito democratico, loro ci han tradito!», ma, pragmatico, predica contro l’aborto senza toccare la legge, impreca contro i sussidi ai poveri neri, ma non taglia il welfare. Il gioco della doppiezza si incrina con la campagna di Bush padre, 1988, considerato dai militanti conservatori un aristocratico progressista. La cura demagogica di Atwater trasforma Bush, figlio di un banchiere, petroliere, vicepresidente, in cowboy texano che si trastulla con i ferri da cavallo. Atwater usa il volto crudele di Willie Horton, ergastolano nero del Massachusetts che stupra una ragazza in un giorno di semilibertà, per calunniare il gentleman Dukakis.

Con la stessa tecnica diffamatoria, Karl Rove, guru di Bush figlio, fa nel 2004 del candidato democratico John Kerry, veterano decorato in Vietnam, un traditore infido, mentre Bush, imboscato nella paciosa Guardia nazionale texana, diventa coraggioso pilota di jet. Perfino il rispettabile McCain candida nel 2008 alla vicepresidenza la governatrice dell’Alaska Palin, cedendo all’estrema destra. Ma il populismo divora chi lo genera e la base arrabbiata dei Tea Party, inebriata dagli slogan, «Obama non è americano, è un illegittimo musulmano» si chiede ora se la corruzione di Washington non corroda anche i repubblicani. Il Congresso nega alla Casa Bianca ogni negoziato, trattare è tradire, si semina livore e alla fine la rivoluzione divora i suoi profeti. La zazzera arancione di Trump ipnotizza il partito.

Tanti apprendisti stregoni conservatori, Rove, Boot, Kristol, Will, si accaniscono increduli contro Trump, senza comprendere come l’ambigua «Strategia sudista» – alludere al razzismo sottobanco – sia fatale. Reagan, più saggio di tutti, imponeva l’XI Comandamento «Non attaccherai mai i colleghi repubblicani» e nell’ultimo discorso ammonì inascoltato «Non appellatevi ai peggiori istinti degli americani, ma ai loro migliori sentimenti». Atwater, antenato di Trump, sopravvisse solo due anni al massacro di Dukakis. Prima di morire, stroncato da un cancro, si battezzò come cattolico e chiese perdono ai nemici calunniati. Fu dunque pianto da tutti, almeno fin quando la collega Mary Matalin non rivelò «Svuotammo l’ufficio di Lee, la Bibbia della sua presunta conversione era ancora incartata nel cellophane, mai toccata. S’era inventato tutto, maestro di propaganda anche sul letto di morte»