Un’intera generazione di italiani, nata dopo il 1975, avrà per la prima volta alle elezioni politiche di primavera una scheda priva di referendum pro o contro Silvio Berlusconi. La condanna a quattro anni di reclusione, ridotti a uno per indulto con cinque di interdizione dai pubblici uffici, comminata ieri nel processo per frode fiscale, segue di poche ore la rinuncia dell’ex premier a ricandidarsi a Palazzo Chigi e chiude, per sempre, una stagione della Repubblica lunga 18 anni. Così giudica l’opinione pubblica mondiale, aprendo con la notizia i siti web internazionali, dal Financial Times, a Le Monde, al New York Times, e affollando di dirette radio e tv, da Bbc a Cnn.

Accade nella storia che l’avventura di un leader arrivi al finale di partita, in un esito che, ai contemporanei appare repentino ma nel futuro trova logica ineluttabile.

Dall’autunno del 1993 quando raccoglie il progetto del professor Giuliano Urbani fondando Forza Italia, Berlusconi s’è battuto in cinque elezioni politiche, vincitore tre volte, due superato da Romano Prodi. Grazie alle divisioni degli avversari, grazie a un intuito forte per il senso comune e anche - ma non solo - grazie alle tv, Berlusconi ha creato una forza politica capace di intercettare a lungo gli umori del Paese. E’ stata infine la crisi economica a piegarlo nell’autunno del 2011, mandando al governo i tecnici di Mario Monti.

Non sono stati scandali, processi, campagne e denunce, la sterminata biblioteca di tomi critici, i cortei, è stata la paura del crack incombente sulla finanza pubblica, le banche e aziende, le famiglie, i lavoratori, a condannare Berlusconi. La sfiducia dei partner europei, in primo luogo la Cancelliera tedesca Angela Merkel, accende il semaforo rosso contro «Silvio». A lungo, i più sfrenati consiglieri del fondatore di Mediaset hanno azzittito i moderati, aizzandolo a ignorare l’ira crescente dell’Unione Europea e irridere il dialogo con l’opposizione. Errori di arroganza, mancanza di cultura politica moderna, ormai irrimediabili e da alcuni ripetuti come un’ossessione. Il «mondo» andava ascoltato, interrogato, condiviso non disprezzato.

Di tutto ciò Berlusconi, a malincuore, ha preso atto e la scelta di non ricandidarsi e indire primarie nel centrodestra lo conferma. A partire dall’importante voto in Sicilia, che testerà per la prima volta le 5 Stelle di Beppe Grillo, alla corsa Bersani-Renzi nel Pd, alla ricostruzione del centro tra Casini, Fini e nuove forze, interne ed esterne al gabinetto Monti, una terza stagione della Repubblica si va delineando, impossibile tornare indietro.

Le cronache politiche, da qua a primavera, registreranno infiniti ghirigori tattici di chi, per salvare un’oncia di potere, cincischierà sul recente passato. Potete ignorarli o seguirli con curiosità, non muteranno però la fase appena conclusa. Giornali, tv e web severi di ieri, l’attesa del processo sul caso Ruby, testimoniano che nessun Paese ormai decide di sé isolato in un acquario, la Cina pesa tra Obama e Romney, la crisi dell’euro ha pesato sulla volata Hollande-Sarkozy, il giudizio internazionale condizionerà anche il prossimo governo italiano, sia Monti II, centrosinistra, centrodestra o qualunque altra formula oggi inedita.

Davanti a questa realtà chiunque aspiri alla guida del Paese, la sinistra favorita nei sondaggi, la destra che si accinge per la prima volta alle primarie, il centro in cerca d’autore e anche Grillo cui la denuncia più non basterà, deve chiudere a sua volta con l’era Berlusconi. Illudersi di fare campagna elettorale, vincere e governare continuando a battersi in nome di, o contro, un Berlusconi la cui armatura, come quella del Sire Kagemusha del film giapponese, è ormai vuota, vuol dire imbrogliare se stessi e gli italiani. Silvio Berlusconi ha gravi responsabilità politiche e personali, la più importante non avere riformato Paese e mercato come promesso, in tempi in cui sarebbe stato meno doloroso. Scaricargli però addosso tutte le lentezze, ipocrisie, opportunismi, l’anchilosi sociale ed economica di una nazione che non cresce da anni è ok per la propaganda, non nella realtà. La crisi economica non passerà in primavera, è, come dicono i migliori economisti da Rogoff a Rajan, «nuova normalità», dove anche gli italiani dovranno riapprendere a lavorare, studiare, consumare, esportare, competere, investire con più saggezza e visione che nell’ultima parte del XX secolo.

Ai sostenitori Berlusconi ha dato il miraggio, ai nemici l’alibi, che il passaggio faticoso al mondo globale potesse venire eluso in Italia, ogni giorno, per vent’anni. Adesso, dopo la condanna per frode fiscale e la reazione internazionale, il campo è sgombro, Berlusconi si affida ai libri di storia, che lo giudicheranno con serenità. L’armatura non gli serve più, lustrarla ancora o ancora scalciarla, è inutile. Le riforme che ci attendono sono chiare, il leader eletto dovrà costruire loro intorno consenso, senza traumi sociali, forzature dall’alto, con vero ottimismo. Alibi e miraggi sono, infine, svaniti e non poteva che essere così.