Al vecchio stadio di Wembley, celebre per le due torri gotiche, il fantasma di Sir Alf Ramsey doveva aggirarsi inquieto, in omaggio all’unico titolo mondiale vinto dall’Inghilterra nel 1966, grazie a un gol fantasma contro i tedeschi. Nel 2003 il vecchio Wembley, dove finalmente l’Italia aveva vinto con il gol di Capello nel 1973, fu demolito. Via spettri, ragnatele, l’impermeabile sulle ginocchia che Sir Alf teneva in panchina, un arco lucente a illuminare il nuovo Wembley, come ieri notte, quando Stati Uniti e Giappone si sono sfidate per la medaglia d’oro femminile nel calcio.

Quante cose avranno stupito il fantasma di Sir Alf, che proibì ai suoi giocatori di scambiare le maglie con gli argentini, nel ’66, irritato per i troppi falli. 22 donne in campo, America contro Giappone, altro che Inghilterra-Germania. Tantissime ragazze in tribuna, sotto l’arco, perché il calcio che - secondo il vecchio proverbio - “non è sport per signorine” è invece popolare tra le studentesse, ovunque nel mondo. Si meraviglierebbe l’allenatore baronetto con i capelli fissati dalla brillantina, per i tackle furiosi, le gomitate, i rigori negati in semifinale con il Canada agli Usa, il gol in zona Cesarini. E la velocità delle giapponesi, la loro linea mediana classica, la disciplina tattica.

A Wembley ieri notte, di fronte a 80 mila persone, il calcio non era beach volley, girava sì la birra (malgrado tutto), ma nessuno era lì per i bikini, il sex appeal delle giocatrici. Non era una notte in discoteca truccata da sport, no, neppure il nuovo Wembley senza torri gotiche e trench in panchina lo sopporterebbe. Era una not-

te di calcio vero, e se qualcuno pensa ancora alla storia delle “signorine” dovrebbe provare a spiegarlo al portiere della Nazionale americana, Hope Solo. Se ci riesce senza pagarla subito, naturalmente.

“Hope Solo” suona a un americano come “Speranza Solitaria”, nome da capo Apache. E la storia di Hope Solo, più di tutte quelle in campo sotto l’arco del nuovo Wembley, stupirà il fantasma di Sir Alf, tornato nella città dove giocava per gli Spurs di Tottenham. E’ stata concepita in carcere, altro che signorine, suo papà l’italoamericano Johnny Solo era detenuto e durante un “colloquio coniugale” la mamma è rimasta incinta. Johnny Solo, veterano del Vietnam, aveva due identità, forse una segreta per nascondersi dopo testimonianze contro la mafia. I Solo divorziano e Johnny rapisce Hope e suo fratello, arriva la polizia speciale Swat a liberare i ragazzini, e Johnny finisce vagabondo su una panchina, non quelle storiche di Wembley dove sedeva Ramsey e ieri notte l’allenatrice Usa Sundhage. No, panchine dei parchi di periferia, dove Hope ritrova Johnny, ridotto a dormire in una tenda avvolto in un paletot muffito e gli porta di nascosto maccheroni al formaggio in scatola. Lo accusano perfino di omicidio, provano a incastrarlo, se la cava con un alibi fortunato. Hope, arrivata al calcio professionale e titolare in Nazionale, paga di tasca propria il biglietto a papà Johnny perché, dallo stato di Washington sul Pacifico, venga a vederla giocare a New York.

In un film di Hollywood, con Sylvester Stallone nella parte del vecchio Solo, Johnny avrebbe applaudito la figlia che al 90’ para un rigore. Nella vita il lieto fine è più raro che al cinema, e Johnny muore per un ictus, senza mai fare il tifo per Hope. Forse anche il suo fantasma era ieri notte nella bolgia di Wembley, con Ramsey e tutti i tabù perduti del vecchio calcio non per signorine.

In campo la partita è finita 2-1 per le americane, che hanno confermato l’oro di Pechino. Fino al triplice fischio finale Hope Solo ha combattuto i suoi di fantasmi. Le coetanee che la isolavano perché giocava a calcio e non con la Barbie, la delusione per non essere centravanti ma portiere, l’allenatore Ryan, che alla vigilia della finale Mondiale 2007 contro il Brasile la manda in panchina, preferendole la veterana Scurry, la Seleçao femminile fa quattro gol agli Usa, Hope dice ai cronisti sprezzante: «Io li paravo sicuro». Panchina per punizione, le compagne che la rimandano a casa da sola in aereo su un altro volo, non vogliono nemmeno usare l’ascensore se c’è Hope, all’inno nazionale la relegano nel tunnel degli spogliatoi.

Hope Solo, 31 anni, evita da allora le polemiche di squadra. La sua autobiografia esce da domani, ha atteso la fine delle Olimpiadi per dribblare i guai, online è già best seller. Racconterà dell’incidente alla spalla, dell’operazione per guarire, di Ballando con le Stelle versione Usa con il partner di danze che la prende a spintoni, lei nata e cresciuta nel Bronx che non se la prende neppure, le femministe che protestano «Legittimi gli abusi!» e lei allora dice «Va bene, protesto».

La medaglia d’oro a Pechino, la Lega professionale femminile che si scioglie per cattiva amministrazione, la pubblicità per arrotondare, l’ira contro un fotografo invadente, le luci del set spente da Hope a pallonate. Il rigore parato al Brasile che porta alla finale 2011 contro il Giappone ai Mondiali, finita in sconfitta, l’appuntamento per la rivincita ieri notte. Con le compagne ora se la cava, da ragazza del Bronx, «bacio i loro sederi e se necessario li prendo a calci». Tra una partita e l’altra beve cocktail, come Albertosi, il portiere di Italia-Germania 4 a 3, fumava. Le capita di andare in tv sbronza e se Brandi Chastain, che da giocatrice fece storia levandosi la maglia dopo un gol e restando in reggiseno sportivo nero, in telecronaca critica la difesa Usa, lei urla su twitter: «Sono cambiati i tempi bella…».

Finita la partita, se i fantasmi di Sir Alf Ramsey, allenatore baronetto, e di Johnny Solo, galeotto del Bronx, davvero si sono incrociati sotto l’arco del nuovo stadio di Wembley, il miracolo di Speranza Solitaria si è compiuto per un attimo, oltre l’oro, prima dell’oro.