La Supreme Court americana, presieduta dal conservatore John Roberts e con una maggioranza di giudici conservatori, ha approvato ieri, 5 a 4, una storica sentenza, stabilendo che la Costituzione garantisce il diritto di matrimonio senza discriminazioni, e che dunque le coppie omosessuali hanno, nei 50 Stati Usa, libertà di accedere alle nozze come i coniugi eterosessuali. Non appena tv e web hanno diffuso la notizia, coppie gay hanno chiesto, e ottenuto, licenze matrimoniali anche nel profondo Sud, dove dall’Alabama al Mississippi, ora avranno accesso alle fedi nuziali. Con i giudici liberal, Ruth Bader Ginsburg, Stephen Breyer, Sonia Sotomayor e Elena Kagan, ha votato il giudice conservatore indipendente Anthony Kennedy, decisivo in tutte le sentenze sui diritti civili degli omosessuali.  

Contro si sono schierati il Chief Justice Roberts, che per la prima volta ha pronunciato il suo dissenso dallo scranno di presidenza, Samuel Alito, il taciturno Clarence Thomas e - con un dissenso che cita i biscottini dei ristoranti cinesi con il pronostico sulla fortuna e gli hippies - il più vocale dei conservatori, Nino Scalia. 

È stata una settimana di notizie straordinarie in America, Paese diviso tra passato e futuro che sta evolvendo con una velocità temuta, esorcizzata e combattuta in Europa. La Corte ha dato via libera alla riforma sanitaria del presidente Barack Obama, e ora solo una decisione del Congresso, a rischio di alienarsi milioni di elettori, può rovesciare a maggioranza repubblicana quello che resterà il successo maggiore di Obama. Poi la bandiera del vecchio Sud Confederato, la Stars and Bars, che Nikki Haley, governatrice repubblicana della South Carolina, annuncia di voler ammainare e i commentatori di sinistra equiparano alla svastica nazista, visto che il killer razzista della strage di Charleston l’ha eletta a simbolo. 

Infine la sentenza della Supreme Court, che non ha preso - come poteva - una posizione cauta, lasciando agli Stati il potere di decidere uno alla volta sulle nozze gay, ma ha tagliato il nodo, sancendo che ogni diritto contrattuale – matrimonio, adozione, eredità familiari - che inerisce per tradizione costituzionale agli eterosessuali, copre anche gli omosessuali. «Non abbiamo creato un nuovo diritto» conclude Kennedy, ma garantito un diritto già sancito nella Costituzione e non praticato per diversa cultura della società». 

L’opinione pubblica americana, che gli europei irridono come parruccona sulla pena di morte (per fortuna in regresso negli Stati) e per la diffusione delle armi da fuoco, liberalizzata dal Secondo Emendamento alla Costituzione, vede ora le nove toghe nere della Corte, nominate a vita, sia pur a maggioranza, considerare la Costituzione un organismo vivo che tutela i nuovi diritti del XXI secolo. «Sotto la Costituzione - scrive nel suo stile alato il giudice Kennedy - le coppie dello stesso sesso cercano nel matrimonio le stesse condizioni legali delle coppie di sesso opposto. Sarebbe discriminante per le loro scelte, e umiliante per la loro personalità, negare questi diritti». 

Le parole del Papa  

Capovolgendo, con un sottile e paradossale riferimento, le parole di Papa Francesco, il Chief Justice Roberts esclama «Chi siamo noi?». Ma se il pontefice si è chiesto, «chi sono io per giudicare un omosessuale?», Roberts si interroga sul diritto della Corte di terminare un’idea di leggi sul matrimonio eterosessuale che, scrive, «ha fondato le istituzioni sociali e le radici della società umana per millenni, dai boscimani al Kalahari, agli Han in Cina, i cartaginesi, gli aztechi».  

Scalia, come nella tradizione letterale che anima da anni, scriveva già nel 2013 «le parole hanno un significato, e il significato non cambia», implicando che la Costituzione non può essere aggiornata alle culture del nostro tempo. Ma, osserva su Atlantic l’analista Megan Garber, le parole cambiano di significato nel tempo, «negro», «schiavo», «omosessuale», «capofamiglia», «figlio primogenito», sono vocaboli che nei secoli hanno mutato significato letterale e implicazioni giuridiche e culturali. Oggi la tradizione difesa con vivacità intellettuale e, negli ultimi anni, con punte di petulanza, da Scalia («la prosa di Kennedy è pretenziosa, la sua sostanza egoista») non è più in sintonia con l’America. Secondo le intenzioni dei Padri Fondatori, la Corte deve accompagnare l’evoluzione della Repubblica. 

La sentenza passa ai libri di storia come il caso «Obergefell versus Hodges» dalla decisione del signor Jim Obergefell di avere il proprio nome inserito nel certificato di morte del marito come erede. Il 61% degli americani approva la scelta della Corte, il presidente Obama la elogia, gli innumerevoli candidati repubblicani alla Casa Bianca devono ora decidere se farne, o no, terreno di scontro. Potrebbe prevalere la prudenza e anche la Chiesa Usa non dovrebbe protestare troppo. 

Fuori dalla Corte la folla ha atteso in ansia la sentenza e, appreso il sì, ha cantato all’unisono le strofe finali dell’inno nazionale americano «Land of the free, home of the brave», terra dei liberi, casa dei coraggiosi. Come poche volte le antiche parole son risuonate vere, solenni, commoventi.