In fin dei conti la differenza palpabile che una generazione di giovani “precari” del mondo del lavoro avverte nei confronti di quella dei propri genitori, che un mutuo per l’acquisto della casa l’hanno chiesto magari nei migliori anni ‘80, è quella della difficoltà a raggiungere l’indipendenza e la stabilità economica dalle famiglie. 

Eppure l’ondata di dati incoraggianti sui recenti andamenti dell’economia europea ha una nuova componente: il mercato immobiliare sarebbe pronto a ripartire e ci sarebbe addirittura già stata una nuova “corsa ai mutui” nel 2014. Almeno secondo i più recenti dati, forniti dall'Osservatorio dell'Agenzia delle Entrate secondo il quale gli acquisti di case attraverso un mutuo ipotecario sono aumentate del +12,7% rispetto al 2013.

Il trend positivo dei dati sulla richiesta di mutui, coinvolge anche parte dell’Europa secondo quanto aveva già rilevato la Banca Centrale Europea, che attestava un più 19% nell’ultimo trimestre 2014. Secondo questo studio l’Italia è tra i paesi che hanno fatto segnare risultati migliori. Se confrontati con i dati di dicembre 2013, quelli di dicembre 2014 fanno registrare un aumento intorno al 30%.

Se si tiene però conto non del numero di richieste, ma del capitale unitario erogato, si riscontra un calo dal 2011, anche se in progressiva attenuazione, dovuto anche alla discesa dei prezzi degli immobili.

Il prezzo dei mutui in Italia rimane inoltre al di sopra di quello della media europea come indicato da Confartigianato la scorsa estate (a maggio 2014 il tasso medio d’interesse era del 3,07%, contro il 2,71% dell’Eurozona)  e confermato dal bollettino economico della Banca d’Italia a gennaio 2015.

L’interrogativo sul destino dei finanziamenti per l'acquisto di abitazioni si fa però particolarmente interessante con le mutate condizioni del diritto del lavoro italiano, alle prese con la progressiva svolta identitaria in corso con l'attuazione del Jobs Act.

Con il nuovo contratto a tutele crescenti e le virtuali nuove assunzioni pronosticate ormai da ogni dove, la domanda di mutui dovrebbe aumentare in modo ancora più netto. Ma la disponibilità al credito da parte degli istituti si amplierà o si restringerà? In altre parole il nuovo contratto a tutele crescenti sarà considerato alla stregua di un contratto “instabile” come è stato sinora per le collaborazioni coordinate continuative e il tempo determinato? Un nuovo assunto con il nuovo contratto a tempo indeterminato può infatti essere licenziato risolvendo l’eventuale causa insorta con un indennizzo economico la cui soglia minima è pari a 4 mensilità. Evidente che il rischio di insolvenza per le banche sia più alto.

Il primo a porre la questione dopo l’approvazione definitiva del decreto attuativo istitutivo della nuova forma di contratto è stato il Presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, in uno scambio di battute con il presidente dell’ABI Patuelli. Damiano si domanda sostanzialmente se un neoassunto con contratto a tutele crescenti potrà o meno ottenere un mutuo. La pronta risposta di Patuelli invita a inoltrare la domanda all’Autorità Bancaria Europea e alla Bce. Controreplica: "chiediamo allora al Premier Matteo Renzi di farsi interprete di questo problema in sede europea". 

Patuelli si è dimostrato poi più fiducioso nell'intervista rilasciata sabato scorso al direttore de Il Resto del Carlino: Il Jobs Act "tende a trasformare contratti a tempo determinato e, comunque, precari in contratti a tempo indeterminato e questa è una garanzia in più per gli istituti di credito".

A livello operativo le banche non sembrerebbero comunque ancora pronte, almeno a considerare il piccolo campione raccolto da Matteo Pucciarelli e Silvia Valenti di Repubblica. Presentandosi come una coppia di lavoratori entrambi a tempo indeterminato, ma di cui uno fresco fresco di contratto a tutele crescenti, i due giornalisti hanno riscontrato qualche incertezza nel confronto con il nuovo tipo di contratto da parte degli istituti.

In realtà ciò che emerge dal loro servizio è sostanzialmente che le banche si tutelano con la classica richiesta di un garante o della stipula di un assicurazione contro la perdita del lavoro, sostanzialmente per la breve vita di uno dei due contratti presentati e non tanto perché questo sia a tutele crescenti, caratteristica della quale gli operatori non paiono essere sufficientemente aggiornati.

Tanto che nessuno di loro si è reso conto che, come ampiamente noto a una buona fetta di pubblico, al momento del colloquio con la coppia il nuovo contratto non esisteva ancora, perché il decreto relativo non era ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Impossibile dunque che fosse vero quanto sostenuto dal richiedente.

Dal servizio le banche Italiane emergono sostanzialmente in attesa ed è per certi versi normale che sia così. La risposta fornita però da Deutsch Bank è rilevante nel delineare possibili evoluzioni imminenti:  

"Non abbiamo direttive ma non vedo quale sia il problema, è sempre un tempo indeterminato [...] Comunque vedrete, nei prossimi mesi il costo dell'assicurazione contro la perdita di lavoro schizzerà. Fatela ora finché il prezzo è umano".

Tradotto: le banche non potranno fare a meno di erogare mutui, ma lo faranno con le opportune cautele.

Uno scenario prefigurato anche da Francesco De Dominici su libero e che evoca facilmente tinte tragiche come quelle della crisi americana dei mutui subprime da cui prese avvio nel 2006 la grande crisi riverberatasi poi sull’economia mondiale. Il tempo indeterminato americano è sempre stato come ora diventa in Italia. Facile quindi il paragone con quanto avvenuto oltreoceano dove il pignoramento agli insolventi andava ad alimentare un mercato immobiliare fermo, con conseguenti fallimenti bancari.

Che la simmetria proposta sia pretestuosa o meno, la riflessione aiuta a comprendere meglio l’importanza di quel disegno di flexicurity che il Governo aspira a realizzare con il Jobs Act, perseguendo quanto tentava di fare (anche se con interventi per certi versi opporti) la riforma Fornero.  Importante insomma che la stabilità e la sicurezza ora diminuite nel posto di lavoro venga recuperata sul mercato del lavoro, con facilità di riqualificazione e di ricollocamento e ammortizzatori sociali condizionati alla partecipazione ai programmi di reinserimento. 

Per fare ciò le risorse economiche e le strutture necessarie non ci sono ancora e il Jobs Act scommette di innescare un percorso economico virtuoso che permetta di costruirlo. Scommette insomma che ridotti rischi di assunzione inneschino occupazione, quindi consumi,  pochi licenziamenti, un mercato immobiliare attivo e risorse da desinare alle politiche attive e passive.

Quello che è certo è che le banche si adatteranno al nuovo contesto prima che un consolidato sistema di flexicurity giunga a dare loro una garanzia sufficiente. Gli istituti lo sanno: si sono già trovati negli anni scorsi a gestire un numero sempre crescente di surrughe che ha rappresentato uno primo stimolo al rinnovamento dei modelli di gestione del credito. Con il nuovo regime del Jobs Act, in attesa delle precisazione provenienti dall’Europa e memori dell’esperienza USA, devono ora fare bene nuovi conti.

Nel farlo, possono considerare le modifiche al Fondo di garanzia prima casa apportate dal Governo con la legge di Stabilità. L'esecutivo ha modificato i criteri per l'accesso al fondo da parte delle banche con l'obbiettivo di renderlo più semplice. Si tratta di 650 milioni di euro stanziati fino al 2016 che concedono agli istituti garanzie fino al 50% del totale di mutui del valore complessivo massimo di 250 mila euro nel caso i clienti siano momentaneamente impossibilitati a pagare le rate. Le banche che aderiscono al programma devono quindi mettere a disposizione dei debitori delle misure di sostegno come la sospensione del pagamento delle rate o una rimodulazione.  Secondo l'ABI, nel corso di febbraio (primo mese di piena operatività del fondo) sono stati erogati 27,6 milioni di euro in mutui associati a richiesta di accesso alla garanzia, che potrebbe incoraggiare finanziamento potenzialmente per un totale di 12/15 miliardi. Una prima indiretta risposta ai timori sorti con l'esordio delle tutele crescenti.