«Svendo l’iPhone per operarmi dopo un’appendicite, credo questo sarà il mio ultimo tweet» ironizza sul social media lo scrittore americano Gary Shteyngart, online @Stheyngart. La battuta anticipa le disavventure che attendono i pazienti Usa, mentre il Congresso si accinge, su input del presidente Donald Trump, a bocciare la riforma sanitaria di Barack Obama a favore di un testo da sperimentare. Spesso intervistare gli scrittori è noia mortale, gli autori noti se la tirano un sacco, ogni frusta banalità elargita dall’alto, come un’arcana massima del Tao. Ma Gary Shteyngart, 44 anni, nato a Leningrado nella vecchia Unione Sovietica, emigrato bambino in America per sfuggire alle ultime spire del comunismo, fa eccezione. Ride, scherza, depreca se stesso - Mi chiamavano piccolo fallimento si intitola la sua autobiografia - il paese d’origine, «insegnavano a scuola che la Russia era benedetta e l’America maledetta», e quello di adozione «Siamo arrivati pensando che l’Urss fosse maledetta e gli Usa benedetti, beh sembra che le due ex super potenze della Guerra Fredda siano finite entrambe maluccio no?». 

Ora Shteyngart arriva a Roma per parlare dei suoi due romanzi Storia d’amore vera e supertriste e I l manuale del debuttante russo, scritti in inglese e tradotti da Guanda. «Per i miei genitori – ricorda ridendo amaro - l’America non sbagliava mai, erano, come tanti emigranti, colmi di gratitudine e gioia per la patria che li aveva salvati dalla persecuzione, la mia famiglia ha origine ebree, ai tempi di Breznev al Cremlino. Ma io, cresciuto in America, ho dovuto presto prendere atto di come il mio paese nuovo, tanto amato, sia in declino, amareggiato, il miracolo del sogno americano perduto tra guerre, solitudine, caos economico». 

«Ho scritto il libro sei anni fa – medita compunto Shteyngart - ma adesso tutti lo leggono, accadrà anche in Italia ci giuro, come fosca profezia del presidente Trump. Allora i social media erano invece ben poca cosa, e certo non avrei mai immaginato che il presidente twittasse dalla Casa Bianca contro l’ex culturista, attore e governatore della California Schwarzenegger – l ’avessi scritto io tutti avrebbero riso! - ma l’idea che l’America veda ovunque nemici, Islam, immigrati, europei, messicani, beh quella c’è già».  

Shteyngart scrive nella tradizione comica e amara della letteratura ebrea russa, da certi racconti chassidim (Garzanti), alle pagine agre de L’armata a cavallo di Babel (Einaudi), fino al Grossman del reportage in Armenia Il bene sia con voi!(Adelphi). Stile però corretto dalla vita in America, con l’elegante filtro autoironico di Bellow, Doctorow e Roth, depurato dal birignao dell’ultimo Woody Allen. In Manuale del debuttante russo, esordio del 2002, l’America della decadenza vive di narcotraffico, truffe, catene di Sant’Antonio finanziarie, finite sempre in bancarotta per i gonzi e profitti per gli eletti. I teppisti di periferia si accontentano della mancia, dopo un pestaggio ai danni del protagonista, i grandi del racket la sfangano tra orge, mazzette, compravendite di passaporti e cittadinanze. Il margine tra Vero e Falso scompare nell’America di Shteyngart, come nella stagione delle «false notizie». 

 «I miei concittadini son confusi – dice Shteyngart - le famiglie bianche, soprattutto i maschi, si ritenevano destinate alla felicità, d’un botto la crisi economica e si ritrovano minoranza fra le altre, senza riuscire proprio ad accettare di campare con gli avanzi. Trump ha capitalizzato questa sofferenza con estro e naso, capopopolo che si è fatto ascoltare da chi non ha mai voluto prestare orecchio alla forbita prosa di Obama. Sa che libro sto scrivendo ora?». 

 No, lo anticipi ai lettori di Tuttolibri: «Un romanzo sulle elezioni Usa del 2016, ci crederebbe? Un giro con gli autobus a lungo percorso della Greyhound per capire come la nostra società civile reagirà davanti alla nuova Casa Bianca. Io sono arrivato qui da rifugiato, c’erano le occasioni di razzismo, le botte di antisemitismo, ma alla fine ci hanno accolto a braccia aperte, e per la generazione dei miei genitori quell’esperienza resta fondamentale. Che accadrà invece ai nuovi rifugiati. Li cacceremo tutti? Ci sarà il muro al confine con il Messico?».  

Ragiono con Shteyngart di un articolo che ho scritto per la rivista The Atlantic all’inizio dell’avventura Trump in politica, criticando chi lo definisce «fascista» e rischia di scambiare fantasmi e pericoli reali: «Sono nato in Unione Sovietica, conosco le dittature e in America non ce n’è una, né sarebbe facile instaurarla. Ma proprio quelle vicende mi fanno temere lo strisciante autoritarismo, odio e disprezzo come regole di governo, dividere il popolo, non dialogare. Putin è autoritario, la Russia sta perdendo qualunque vestigia di democrazia. Voi europei avete Le Pen in Francia, Wilders populista in Olanda, Brexit, in Polonia aria brutta. Insomma, ognuno ha i suoi guai». 

Non se la caverà a buon mercato, caro Gary, in Italia tutti le chiederanno se ha profetizzato in Trump il Grande Fratello. «Amo il vostro paese, se ci sarà da spiegare Trump a Roma lo farò. Sto leggendo Elena Ferrante, è la cosa da fare no?, tutti devono leggere Ferrante oggi, ha la famiglia al centro del racconto, agli americani manca il calore familiare e amano ritrovarlo nella vostra scrittrice, come una Cechov a Napoli. E a proposito di Napoli mi piace molto Roberto Saviano, nei miei libri la mafia è icona sarcastica, nei suoi è vera, solida, aguzza. Ho visto il film che Matteo Garrone ha tratto da Gomorra e seguo la serie tv, un bel modo di narrare il mondo, scrittura e immagini!». 

Chiamatelo pure, se volete, Piccolo Fallimento, ma dalle colonne del settimanale The New Yorker, alla litania twitter, fino al nuovo libro in bus per raccontare l’America di Trump I, il bambino ebreo sperduto nella grande Repubblica, ora signore con occhiali spessi da intellettuale Anni Cinquanta e barba nera da hipster di Williamsburg, ha successo nello spiegare come si possa amare disperatamente una nazione, irridendone senza pietà i tic narcisisti e nichilisti. 

Storia d’amore vera e supertriste, del 2006, racconta la disperata e comica saga di Lenny Abramov e Eunice Park, lui fallito di mezza età russo, lei sexy e sveglia immigrata asiatica. Gli Stati Uniti sono in guerra con il Venezuela, le gang dei ghetti si battono contro una Guardia Nazionale corrotta e criminale, ogni cittadino deve portare con sé un «äppärät», sensore capace di leggere il pensiero del proprietario, rendendolo nudo davanti ai controlli ufficiali.