«Trifoglio del Nord» suona simbolo poetico, soprattutto se immaginiamo le verdissime foglioline alla luce gelata dell’Artico, verso il Polo Nord. Ma la bucolica immagine è stata scelta dalle forze armate russe per battezzare la nuova, poderosa, base militare sull’isola Kotelny, 4300 chilometri da Mosca, 250 soldati a puntare contro l’America difese antimissili nucleari e radar per bombardieri strategici. Vladimir Putin sa che il cambio del clima libera rotte navali, risorse minerarie e vuol battere gli Stati Uniti nella corsa ai tesori del Nord. Dalla penisola di Kola, territorio più a Nord-Ovest della Russia, il Cremlino intende controllare le risorse di gas naturale, petrolio, fosfati, bauxite, ferro, rame, nickel che il disgelo renderà accessibili, e per farlo trasforma la città di Murmansk in fortezza e blinda la base di Alakurtti. Sotto i ghiacci che si vanno liquefacendo c’è più petrolio che in Arabia Saudita, che l’Istituto Geologico Usa stima in 412 miliardi di barili, con il 13% delle riserve di greggio e il 30% del gas naturale non ancora scoperti.

Cina, Norvegia (dove da qualche tempo sono di stanza 500 marines americani), Canada e Danimarca, attraverso la Groenlandia, sono le altre potenze interessate al continente sommerso. Il Cremlino vuole annettersi gran parte delle aree sottomarine disponibili, fin quasi al Polo, la nuova Legge del Mare Onu, Unclos, che gli Stati Uniti hanno negoziato con impegno, non è stata ancora, con paradossale autogol, ratificata a pieno da Washington, e viviamo quindi nel Far North senza regole del XXI secolo. 

Pechino sta ultimando tre rompighiaccio, Putin domina il campo con 40 navi rompighiaccio, di cui sei nucleari e ha altri tre vascelli atomici in cantiere. L’America, spiega un rapporto del Council on Foreign Relations, s’era illusa, vinta la Guerra Fredda nel 1989, di dominare anche il Pianeta Freddo, ma ha a disposizione solo due navi rompighiaccio e le alterna tra Polo Nord e Sud (l’Antartica, al contrario dell’Artico, ha massa terrestre) per rifornire la base scientifica McMurdo. Thad Allen, capo della Commissione sull’Artico Cfr, ritiene che «agli americani servano almeno 6 rompighiaccio perché la Guardia Costiera possa tenere aperte le rotte, senza trovarsi a mani nude contro Mosca». Nel presentarsi al Senato, il ministro della Difesa di Donald Trump, generale Mattis, ha chiesto con urgenza fondi e investimenti per l’Alaska, quarta frontiera navale Usa che ha fatiscenti infrastrutture di porti e aeroporti militari, inadatti a contrastare lo sforzo militare russo e cinese. Perché il lettore intenda la posta in gioco, basti ricordare che i missili Usa destinati a intercettare un attacco da Russia, Cina o Nord Corea sono dislocati in Alaska, in Alaska si riforniscono di carburante i bombardieri strategici, da lì passa la Great Circle Route, rotta ortodromica per raggiungere distanze lontane nel minor tempo possibile. Considerate, per esempio, la Miniera Red Dog, a Nord del Circolo Polare sulle montagne De Long, con giacimenti tra i maggiori di zinco e piombo. Isolata a lungo, si è dovuto costruire una strada e poi un porto per sfruttarla, e così sarà per ogni risorsa esposta dalla ritirata dei ghiacci. 

Russia e Cina, a loro modo anche Canada e Paesi europei del Nord, stanno con buona lena allestendo una strategia per il Polo. Il segretario di Stato Usa Tillerson, in odore di licenziamento, il ministro Mattis e il consigliere per la sicurezza McMaster, chiedono con urgenza al presidente Trump di lavorare al suo piano Artico, ma per ora si ritarda. Pensiamo al Polo Nord come distesa di ghiacci che vede gli orsi bianchi affamati dal cambio del clima, ma presto ci saranno anche rifugiati dalle minoranze etniche scacciate dai loro territori ancestrali, una militarizzazione rapida e la corsa all’oro. Come Trump reagirà a queste sfide è scommessa geopolitica centrale del 2018.