Non cercate nel Watergate, scandalo che costrinse alle dimissioni nel 1974 il presidente Richard M. Nixon, le chiavi per comprendere la saga che, con crescente turbolenza, avvince il presidente Donald Trump sulle accuse di interferenza russa a suo favore nella campagna elettorale americana 2016. La classe politica è cambiata, l’opinione pubblica spaccata, i media rabbiosi, i protagonisti diversi: Nixon, politico di razza che non agiva mai senza calcoli razionali; Trump, outsider di razza, abituato a vincere d’istinto. 

Il licenziamento in tronco del capo Fbi James Comey, con lo sfregio preciso della lettera recapitata di persona dall’ex guardia del corpo di Trump, Keith Schiller, mentre il dirigente era in viaggio, segna un punto di non ritorno nell’avventura politica del presidente. Dopo il tweet in cui sembra minacciare Comey di aver registrato le loro conversazioni private a cena – una cena dei misteri che non si sa chi abbia convocato e se abbia, o no, implicato ricatti reciproci su lealtà, conferma dell’incarico e inchiesta Fbi contro il presidente – Trump evoca la possibilità di cancellare le conferenze stampa alla Casa Bianca, dopo aver invitato solo media russi al briefing con il ministro Sergej Lavrov. 

Un’escalation che non sorprende chi ha, per anni, seguito lo stile del presidente nella frenetica attività d’affari, tv e sociale a Manhattan, sempre alzare il tiro, mai rinchiudersi nell’angolo, sempre rilanciare la posta. 

Quello che giuristi, esperti e analisti, da John Ikenberry di Princeton University, alla rivista Foreign Affairs, a James Fallow di Atlantic si chiedono è se la strategia del ribaltare il tavolo a ogni difficoltà sia sostenibile alla guida di una superpotenza non di un casino a Atlantic City. Cacciare il capo dell’Fbi è legale e costituzionale. Umiliarlo via un ex bodyguard è irriguardoso e poco saggio. Insistere nel Solo contro Tutti, a quattro mesi dall’inaugurazione, sottopone istituzioni, paese, partito e presidente stesso a uno stress con conseguenze imprevedibili.  

Trump ha ancora un punto di forza, l’84% dei repubblicani lo difende e il 76% approva il cartellino rosso a Comey (lo scarto tra le due cifre è cruciale, crescesse metterebbe in difficoltà la Casa Bianca). Democratici e indipendenti lo bocciano, è il presidente più impopolare della storia nella sua prima primavera, ma finché i repubblicani lo sosterranno sarà dura trovare alla Camera e al Senato parlamentari che votino, con i democratici, per un Commissario speciale di inchiesta sul Russiagate. Tre senatori McCain, Graham e Murkowski sembrano persuasi, molti resistono impauriti da un elettorato militante. 

Nixon cadde perché la classe dirigente del tempo, politica, media, opinione pubblica, istituzioni, composta in larga parte da cittadini che pur ammiravano il presidente per la forza, apertura alla Cina, difesa dell’ambiente, accordo in Vietnam, decise che il rispetto della legge è solo il primo, elementare, codice di una democrazia. Il presidente deve anche mostrare rispetto per gli altri poteri e, restando nella legalità, non prevaricarli. «Il limite del potere presidenziale – argomentava ieri il Washington Post – si trova nelle norme condivise, non solo nelle leggi», quel che il formidabile giurista inglese del XIX secolo Lord Moulton chiamava «obbedienza senza costrizione». 

Trump ha deciso di forzare e non si sente moderato da queste nobili tradizioni. Deve ora nominare il nuovo capo dell’Fbi, può scegliere un paladino, Giuliani o Christie, e aizzare le proteste, o un dirigente apprezzato dagli agenti federali come era il controverso Comey. Il capo pro tempore Fbi, Andrew McCabe, fa sapere di mantenere stima per Comey e assicura che le inchieste in corso andranno avanti. Quanto McCabe in Fbi, al Ministero della Giustizia è sotto pressione il viceministro Rod Rosenstein (il ministro Sessions si è autoescluso dal pasticcio alle prime marette). In contatti informali con i media –che La Stampa è in grado di confermare con fonti autonome – Rosenstein, magistrato indipendente approvato anche dai democratici al Senato maggioranza 94-6, ha ribadito di non sentirsi legato da patti di fazione, pronto a difendere l’autonomia Fbi. 

 Non ascoltate dunque le previsioni spericolate su impeachment, derive autoritarie, opinione pubblica divisa ormai per sempre. La resa dei conti è appena iniziata. Trump ha 70 anni, non cambierà stile. La democrazia Usa ne ha 241 e deve dimostrare ora, malgrado l’acrimonia diffusa, la forza con cui ha superato le crisi del passato. Scommetto la troverà.