Gli studenti che quatto anni fa, mischiati in piazza a un milione e mezzo di americani, festeggiarono il primo giuramento di Barack Obama alla Casa Bianca, sono andati ieri al lavoro, almeno quelli fortunati abbastanza da avercene uno.

Gli altri sono andati a cercarsi un lavoro, come ogni lunedì. Il brusco passaggio dall’utopia alla realtà è la cifra del secondo mandato di Obama. Nel 2009 il presidente guidava l’America appena caduta nella crisi finanziaria peggiore dal 1929 e aveva davanti le due guerre seguite all’11 settembre 2001, Afghanistan e Iraq.

La sua amministrazione doveva suturare le ferite del passato, anabolizzare di dollari e spesa pubblica l’economia, concertando la ritirata strategica da Kabul e Baghdad. La caduta libera nell’abisso della crisi è stata stoppata, mentre le due sfortunate campagne vanno verso l’ammainabandiera senza vittoria: la I Guerra Globale contro il terrorismo fondamentalista islamico si sposta nel deserto del Mali, guidata ora dagli ex «pacifisti» di Parigi.

Oggi i dossier sul tavolo di Obama riguardano crisi fiscale americana, rapporti con la Cina, controllo delle armi da guerra sul mercato americano e riforma dell’emigrazione, che nelle speranze del Presidente dovrebbe fare il paio con la controversa riforma sanitaria del primo mandato.

Di tutte le scelte che attendono Obama II al giudizio della storia, il ritorno a un equilibrio fiscale a Washington è la più importante. Il Presidente non è riuscito in alcun modo ad aprire un dialogo tra i partiti, e la politica americana è così incancrenita che l’ex senatore repubblicano Hagel, nominato da Obama segretario alla Difesa, incontra la feroce opposizione dei suoi ex compagni, che lo considerano un traditore anti Israele. Senza un accordo, i 16.000 miliardi di dollari di debito sfasceranno la società, la politica, l’economia americana, disperdendo l’influenza Usa nel mondo. Non si può più - Obama lo sa, ma non ha fatto nulla, perfino stracciando le proposte di una commissione bipartisan convocata sul tema - spendere come se le tasse Usa fossero altissime e tassare come se la spesa Usa fosse ridottissima. Alta spesa e basse tasse sono, da G. W. Bush soprattutto, somma rovinosa. Con un numero record di americani che vanno in pensione, figli del boom del dopoguerra, le tre voci di spesa, difesa, sanità e pensioni, vanno tagliate. Gli economisti più intelligenti, come Rogoff, propongono di «tagliare la spesa attraverso l’innovazione», riformando cioè esercito, ospedali, sussidi agli anziani e scuole con le tecnologie, per fornire servizi a spesa ridotta. Ma nessuno ha il coraggio di dirlo agli elettori.

La seconda voce di intervento riguarda la Cina. Pronta al sorpasso economico sugli Usa, previsto per il 2017-2018, la Cina teme che la crisi demografica, troppe poche nascite e troppe poche bambine, la indebolisca a partire dal 2030. Dieci anni cruciali per l’egemonia sul Pacifico, e per questo Pechino vara la flotta d’alto mare, la prima portaerei e litiga con il Giappone sulle isolette Senkaku. Il nuovo leader, Xi Jinping, deve scegliere se dialogare con Obama, scivolare verso la guerra fredda o combattere in armi. Vietnam, India, Filippine, Malesia, Birmania, Australia, chiedono agli Usa protezione contro l’offensiva cinese e il Giappone del nuovo premier Shinzo Abe vuol cancellare la costituzione antimilitarista di Tokyo, redatta paradossalmente dal generale americano MacArthur, aumentare la spesa per l’esercito e far riscrivere i libri di storia per le scuole in modo che ritraggano il Sol Levante come vittima, non aggressore nella Seconda guerra mondiale.

Panne fiscale in America e sfida strategica con la Cina basterebbero a colmare il secondo mandato di ogni Presidente. Obama ha davanti, inoltre, il vecchio Medio Oriente, dove nulla fa prevedere progressi tra Israele e i palestinesi, il nuovo volto del mondo arabo dopo la Primavera, il ricatto dell’Iran sulla corsa alle armi nucleari, un Putin indebolito dal calo del prezzo del petrolio ma deciso a non mollare il potere, il rapporto da rivitalizzare con l’Europa ormai talmente ripiegata sulla crisi dell’euro da non essere più partner interessante per Washington da anni.

A questo già turbolento menu, Obama vuole aggiungere il divieto alle armi automatiche, dopo la strage nella scuola di Newtown e dopo che le sue lacrime in diretta lo hanno impegnato davanti al Paese a fare qualcosa. Infine - in debito di gratitudine per gli elettori etnici, ispanici ed asiatici, che gli hanno riconsegnato la Casa Bianca preferendolo al repubblicano Romney - Obama lavora a una riforma dell’emigrazione, con amnistia per i clandestini (intorno a 15 milioni) che da anni vivono negli Usa, e riaprendo visti e permessi di soggiorno e lavoro a studenti e tecnici qualificati, mentre ai braccianti, oggi spesso intimiditi, potrebbe offrire ingressi legati ai lavori agricoli, avviando poi l’accesso alla cittadinanza. I due politici repubblicani che sognano la Casa Bianca, Marco Rubio e Paul Ryan, hanno visto come la diserzione degli elettori ispanici abbia sconfitto Mitt Romney, computano la crescita del voto etnico in chiave Casa Bianca 2016 e 2020, e sono pronti a collaborare, per non lasciare ai democratici il vanto della riforma emigrazione.

Questi gli ostacoli che la cronaca mette davanti al secondo mandato del presidente Barack Hussein Obama. Le emergenze, le tragedie e le opportunità che la Storia, come sempre, saprà creargli nessuno le conosce: e come sempre sarà proprio la sua reazione alle mosse della Storia che ci dirà che Presidente davvero sia l’amletico Obama.