Nel 1935, orripilato dalla miseria che la Depressione semina tra gli scrittori americani, il presidente Roosevelt vara il «Federal Writers Project», programma di welfare che manda in giro per il paese squattrinati artisti a «raccontare l’America». Le Guide che ne risultano sono lettura indispensabile per chi viaggia negli Stati Uniti, ricche di autori classici, Algren, Cheever, Ellison, Wright e i futuri Nobel, Steinbeck e Bellow.

In Iowa gli inviati narratori sono colpiti dai giganteschi mausolei-piramide eretti dai Mound Builders, antichissima popolazione precolombiana, che punteggiava, prima delle tribù dei Grandi Piani, la prateria di misteriosi monumenti, ancor oggi dilemma per gli archeologi. Li impressiona il Mausoleo Donna, struttura a sagoma femminile, non lontano dal fiume Turkey, ora nella contea di Clayton, campi sterminati interrotti da sacrari monumentali. Lo spazio aperto resta la regola dell’Iowa: se in New Jersey vivono 1218 persone per miglio quadrato, in Iowa i cittadini sono solo 55, dominati dalla cultura dell’agricoltore, padrone in casa sua, diffidente di regole ed editti promanati da «quelli di Washington».

Quando giravano gli inviati di Roosevelt, l’Iowa ingaggiava l’ultima resistenza all’industrializzazione, scommettendo che l’agricoltura fosse meno soggetta all’altalena crudele di Wall Street, ma presto anche gli «hoosiers», nomignolo dell’Iowa forse derivato dalla diffidente domanda in dialetto «chi bussa?» quando qualcuno si presentava alla capanna isolata, capiscono che tocca entrare nel XX secolo.

Anche quando – dopo epiche resistenze alla No Tav dei contadini – le autostrade collegano finalmente le città, tutte minuscole, la più popolosa, Des Moines, con soli 203.433 abitanti, dove si pesano, vendono e comprano i prodotti della terra, mais, soia, maiali, bovini, resterà la cultura profonda del coltivatore, individualista populista. Al punto che nel 1988, ai caucus per la Casa Bianca, i moderati «hoosiers» premiano il candidato democratico Dick Gephardt, che attacca in un celebre spot Hyunday e le altre compagnie asiatiche accusate di «Rubare lavoro».

Come giocherà questo umore profondo nel 2016, con due populisti in lizza, favoriti dai sondaggi, a destra tra i repubblicani il palazzinaro Donald Trump, a sinistra tra i democratici il senatore socialista Bernie Sanders? Sia l’establishment del Gop repubblicano, il vecchio Grand Old Party ostaggio dell’ala estremista, che la favorita ex First Lady democratica Hillary Clinton temono che dalle pianure dell’Iowa esca a sorpresa un Mound, Sacrario di scontento che premi i leader radicali.

Una vittoria in Iowa – primo stato delle primarie dal 1972 – non assicura la nomination, nel 1988 vince Gephardt ma il nominato è il governatore del Massachusetts Mike Dukakis, e nel 1992 gli «hoosiers» scelgono il populista Tom Harkin, davanti al futuro presidente Bill Clinton. Più recenti le sorprese tra i repubblicani, nel 2012 l’Iowa vota per il conservatore religioso Rick Santorum bocciando l’ex governatore Romney, poi nominato, e nel 2008 un altro conservatore, Mike Huckabee riceve il triplo dei voti del futuro candidato McCain.
Tra le grandi fattorie, ormai meccanizzate e gestite da sistemi informatici, vivono silenziose comunità di cristiani evangelici e di attivisti individualisti dei Tea Party, ostili al presidente Obama. Tra loro tesse la sua rete il senatore Ted Cruz, che spera di umiliare Trump e di presentarsi, il 9 febbraio in New Hampshire, da vincitore, ripetendo il colpo del consigliere di Bush, Karl Rove che, nel 2004, strappa la vittoria data per certa dal democratico Kerry mobilitando a sorpresa gli evangelici dell’Ohio.

Per comprendere quanto difficile sia prevedere un vincitore in Iowa, il lettore rifletta sul meccanismo delle elezioni, il caucus. Un caucus – etimologia incerta, forse dal Caucus Club di Boston o dal vocabolo degli indiani Algonquin «caucauasu», concilio – è un’assemblea elettiva diretta, che si tiene nelle 99 contee dello stato, in scuole, palestre, uffici, perfino case private. Guidando lungo i campi, spesso sfidando il maltempo (il primo febbraio su De Moines previste neve e nevischio) l’elettore si unisce a una riunione, discute di vari temi locali poi raggiunge il gruppetto degli elettori che, come lui, appoggiano un certo candidato. Se un candidato non riceve abbastanza voti i suoi militanti si ridistribuiscono tra gli altri leader e così via finché non si eleggono i delegati componendo il voto finale. Basta poco, il tempo, la mobilitazione imprevista di un gruppo sociale (gli studenti dei campus per Sanders, i lavoratori arrabbiati per Trump, i cristiani per Cruz) e la sorpresa è assicurata.

Gli «hoosiers», fieri, sinceri, per nulla imbarazzati dalla reputazione di «contadini», difendono la primazia nelle elezioni con orgoglio pur nominando appena l’1% dei delegati alle convention d’estate. Sanno che né Big Data né sondaggi penetrano il segreto dei caucus, misteriosi come i Mound dei misteriosi indigeni.