Economia, burocrazia, crisi, euro. Sono queste probabilmente le parole che a primo impatto molti associano all’idea di Unione Europea. L’Europa dà l’impressione di una istituzione lontana, concentrata sui meccanismi monetari ma poco interessata ai problemi dei cittadini.

In realtà l’UE è il risultato di un processo lungo e articolato, iniziato sul finire della II Guerra mondiale e che prima di ogni altra cosa ha significato per il continente tre generazioni di pace e benessere. Una conquista non affatto scontata, mai raggiunta dalla fine dell’Impero romano.

Nel 1944 a Ventotene, isola al largo delle coste laziali, tre confinati antifascisti elaboravano il manifesto “Per un’Europa libera e unita”. Era la prima volta che si parlava di dare vita ad una Europa federalista, che aiutasse a superare i contrasti tra stati in vista di un progetto unitario.

Dopo la guerra altri tre uomini, leader politici nei propri paesi ma che condividevano idee e formazione comuni, iniziarono a rendere possibile questo progetto. Erano Alcide De Gasperi, Robert Schuman e Konrad Adenauer, statisti che nel 1951 portarono rispettivamente l’Italia, la Francia e la Germania a fondare insieme a Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo la CECA, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio.

L’aspetto economico alla base di questa nuova organizzazione nascondeva in realtà un programma ben più ambizioso: mettere insieme le risorse di paesi diversi e fino a poco tempo prima in conflitto, per creare buone relazioni tra di essi ed impedire nuove guerre. Da allora l’aspetto economico è stato sempre centrale, ma non è rimasto l’unico collante a tenere unite nazioni tanto diverse tra loro.

Nei decenni successivi è stato un susseguirsi di piccoli e grandi passi. Trattati, accordi, politiche economiche, entrata di nuovi stati membri, il tutto ha allargato il raggio di azione di questa unione sovranazionale, rafforzando il suo ruolo e portando ad unire la gran parte del continente sotto la bandiera blu con le dodici stelle.

Molto di più che una semplice organizzazione internazionale, ma non abbastanza da diventare una vera e propria federazione di stati. Il problema del “deficit democratico” infatti, vale a dire il basso livello di coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali europei, è stato sempre uno dei punti deboli della UE. A questo negli ultimi anni si è aggiunto un crescente euroscetticismo, legato alla situazione economica nel continente e che trova numerosi adepti in movimenti politici trasversali grandi e piccoli.

È una fase delicata che, come dice l’ex presidente della Commissione Europea Romano Prodi, sta trasformando l’UE da un grande laboratorio di politica in un museo. Con il rischio di far prevalere la paura e perdere di vista le conquiste che, senza il processo di integrazione europea, sarebbe stato difficile raggiungere.