"Anche idraulici e tassisti dovrebbero essere obbligati a passare un periodo a integrarsi negli altri Paesi Ue"

Umberto Eco è appena tornato nel suo studio di Milano da Parigi, dove il presidente francese Nicholas Sarkozy l’ha insignito del titolo di Commendatore, Commandeur, terzo grado gerarchico della Legion d’Onore, “Erano le ore della battaglia sulla tripla A alla Francia, ma Sarkozy non è voluto mancare, bello, ma devo dire è stato emozionante anche essere insignito in Grecia della Gran Croce del Dodecaneso: la consegnano giusto nella grotta di Patmos, dove San Giovanni scrisse l’Apocalisse!” dice ridendo lo scrittore e semiologo. “Del resto uno dei vantaggi dell’Europa è che per il mio compleanno ricevo gli auguri del presidente tedesco Wulff o del premier spagnolo Rajoy che non pure conosco. Siamo ormai europei per cultura, dopo che per anni lo stiamo stati per guerre fratricide”. Sulle finestre di Eco incombe la mole minacciosa del Castello Sforzesco, ricordando con le sue torri e merli, le guerre del continente, dal Castrum Portae Jovis, la fortezza della Porta di Giove che sorgeva qui già nel XIV secolo, al castello dei Visconti e degli Sforza, distrutto dall’effimera Repubblica Aurea del 1447, tra le cui mura hanno lavorato Leonardo e Bramante, i cui contrafforti son stati espugnati da Napoleone, mentre intorno al fossato oggi invaso da turisti che visitano la Pietà Rondanini di Michelangelo le truppe austriache del maresciallo Radetzky bombardarono la città in rivolta nel 1848.

“Davanti alla crisi del debito europeo –dice Eco- io parlo da persona che non capisce nulla di economia, dobbiamo ricordarci che solo la cultura, oltre la guerra, lega la nostra identità. Per secoli francesi, italiani, tedeschi, spagnoli e inglesi si sono sparati a vista. Siamo in pace da meno di 70 anni e nessuno si ricorda più di questo capolavoro: che pensare a un conflitto Spagna-Francia, o Italia-Germania, oggi suscita ilarità. Gli Stati Uniti hanno avuto bisogno della guerra civile per unirsi davvero. Spero che a noi bastino cultura e mercato”.

L’ex ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer, parlando nel 2000 alla Humboldt University di Berlino, dichiarò “l’euro è un progetto politico”, vale a dire senza integrazione europea non basterà la divisa comune. Meditando Fischer, Eco beve il suo caffè, lui è a favore delle capsule postmoderne stile Nespresso, la moglie tedesca, Renate Ramge Eco, difende la tradizionale caffettiera moka italiana: “L’identità europea del 2012 è diffusa ma “shallow”, -uso la parola inglese che non è l’italiano “superficiale” ma sta a mezza strada da “surface”, superficie” e “deep”, profondo- dobbiamo radicarla prima che la crisi la rovini del tutto. Si parla poco sui giornali economici del programma di scambi universitari Erasmus, ma Erasmus ha creato la prima generazione di giovani europei. Io la chiamo una rivoluzione sessuale, un giovane catalano incontra una ragazza fiamminga, si innamorano, si sposano, diventano europei come i loro figli. Dovrebbe essere obbligatorio, e non solo per gli studenti: anche per i taxisti, gli idraulici, i lavoratori. Passare un periodo nei paesi dell’Unione Europea, per integrarsi”.

L’idea è seducente, ma dai giornali popolari tedeschi, ai partiti populisti ovunque, in Finlandia, Ungheria, Italia, Francia, l’orgoglio europeo sembra cedere il passo al populismo, l’ostilità verso gli altri paesi dell’Unione. “Per questo dico che l’identità è “shallow”. I padri fondatori dell’Europa, Adenauer, De Gasperi, Monnet potevano avere viaggiato meno, -De Gasperi parlava tedesco solo perché nato nell’Impero austro-ungarico-, non disponevano del web per leggere la stampa estera. La loro Europa reagiva alla guerra, condividevano le risorse per costruire pace. Oggi dobbiamo lavorare all’identità profonda”.

Eco ragiona su quella che lo storico inglese Barraclough chiama “la lunga guerra civile europea”, dal 1914 del primo conflitto mondiale al 1989 della caduta del Muro di Berlino, una divisione profonda cui l’Unione Europea e l’euro hanno posto fine, ma che richiede tempo e pazienza per rimarginarsi: “Quando ho proposto, a un convegno dei sindaci UE, la mia idea di un Erasmus anche per artigiani e professionisti, un sindaco gallese ha reagito “I miei cittadini non accetteranno mai!”. E parlando pochi giorni fa a una televisione inglese mi son visto contraddire dall’anchorman, preoccupato che la crisi dell’euro, l’Europa sovranazionale, i governi tecnici arrivati in Grecia con Papademos e in Italia con Monti non siano “eletti”, e perciò non siano “democratici”. Cosa dovevo rispondergli? Che il nostro è un governo approvato dal parlamento e proposto da un presidente della repubblica eletto dal parlamento? Che in tutte le democrazie ci sono istituzioni non elettive, la Regina d’Inghilterra, la Corte Suprema americana, ma che nessuno le definisce non-democratiche?”.

L’identità debole diagnosticata da Eco mostrava i suoi sintomi già prima della crisi del debito. Quando la Costituzione venne bocciata per referendum, un documento scritto da politici, senza che nessun uomo di cultura potesse dare una mano, astratto, mai discusso con i cittadini. O quando le banconote in euro vennero disegnate senza volti di grandi uomini e donne, solo frigidi panorami come in un quadro di De Chirico. O forse il problema risale a Dio? Gli Stati Uniti che diventano sempre più religiosi nel XXI secolo e l’Europa sempre meno?: “E’ così. Si discusse molto allora, era ancora vivo Papa Wojtyla, se accennare nella Costituzione europea, alle radici cristiane del continente. I laici secolari prevalsero e non se ne fece nulla, la Chiesa protestò. C’era però una terza via, più difficile ma che oggi ci darebbe forza. Parlare nella Costituzione di tutte le nostre radici, la greco-romana, la giudaica, la cristiana. Abbiamo alle spalle sia Venere che il Crocefisso, la Bibbia e le mitologie nordiche, che ricordiamo con l’Albero di Natale, o nelle tante feste di Santa Lucia e San Nicola, Santa Claus. L’Europa è un continente che ha saputo fondere molte identità, e tuttavia le ha fuse ma non confuse. In questo carattere che direi unico sta il suo futuro. Quanto alla religione stai attento. Molta gente non va più in Chiesa ma poi cade nelle superstizione. Ci sono tanti che non sono praticanti, ma portano nel portafogli il santino di Padre Pio!”.

Padre della semiologia, studioso della cultura di massa, autore di saggi per pochi eletti e di best seller mondiali da Il Nome della Rosa all’ultimo Il cimitero di Praga, 80 anni appena compiuti –se si affatica su una rampa di scale ride “Eh amico mio, non abbiamo più 70 anni!”- Eco non è pessimista: “Con tutti i suoi difetti, il mercato globale rende la guerra meno probabile, perfino tra Usa e Cina. L’Europa non sarà mai Stati Uniti d’Europa, un solo paese con una lingua come gli Usa, dove pure a lungo il tedesco insidiò il primato dell’inglese, ora insidiato dallo spagnolo. Abbiamo troppe lingue e culture, questo supplemento è benemerito proprio perché un giornale “unico” europeo è per ora utopia. Il web però ci sbatte contro gli altri, non leggiamo magari il russo ma sbattiamo su siti russi, siamo consapevoli degli altri. Continuo a pensare che da Lisbona a Varsavia non ci sia più distanza che da San Francisco a New York. Resteremo una federazione, ma indissolubile”.

E su quelle banconote, allora, chi potremmo disegnare, per ricordare al mondo che non siamo “shallow” europei ma profondi? “Forse non i politici, i condottieri che ci hanno diviso, né Cavour né Radetzky, ma gli uomini di cultura che ci hanno unito, da Dante a Shakespeare, da Balzac a Rossellini. E siccome ha ragione Pierre Bayard, e tutti siamo consapevoli anche dei libri che non abbiamo letto e abbiamo riflessi delle culture che non conosciamo, ecco che l’identità europea si farà, pian piano, più profonda”.