Nel saggio Generazione App (Feltrinelli, pp. 215, € 18), Howard Gardner e Katie Davis ricordano come i giovani degli anni sessanta fossero plasmati dalla politica, quelli degli anni ottanta dall’economia e i ragazzi del XXI secolo definiti dalla tecnologia. Non si chiede Utopia a Marx o a Wall Street, ma al software. Il mutamento non è tecnico, ma culturale: tecnologia è identità, come a lungo temuto dal filosofo Emanuele Severino. Se in America la tecnologia, Silicon Valley e Shale gas, è molla per uscire dalla crisi, da noi spaventa. Per andare in classifica in Italia un libro deve sottintendere che il web uccide, e i politici dettano allora regole occhiute e divieti. Così il saggio sui Big Data, studio della complessità via analisi della sterminata serie di dati immessi in rete, redatto con entusiasmo fin troppo palese dallo studioso di Oxford Viktor Mayer-Schönberger e da Kenneth Cukier, data editor dell’Economist (quanti giornali italiani hanno questa figura essenziale?), viene meritoriamente tradotto da Garzanti (pp. 300, € 18,60), a patto però, sperando di far cassetta, di inventarsi un titolo cupo: Big Data, Una rivoluzione che trasformerà il nostro modo di vivere – e già minaccia la nostra libertà, che non ha nel testo alcun riscontro.

L’Europa processa Google, bandisce gli Ogm, rende la vita impossibile alle start up; insomma, il Papa ha ragione nel definirla «Nonna Europa». Il pessimismo si radica nella crescente disuguaglianza economica, documentata dal best seller di Thomas Piketty, Il capitale nel XXI secolo (Bompiani, pp. 950, € 22). Esaltato come il nuovo Das Kapital a sinistra, «libro dell’anno» del Financial Times, il tomo di 950 pagine ha pochi lettori veri (la parte centrale è ardua di tecnicismi), ma apertura e chiusura sono accessibili e confermano: l’economia globale e digitale colpisce il ceto medio, scatenando populismi. Chris Giles e altri critici sono scettici sull’universalità del lavoro di Piketty (i dati divergono da paese e paese e nel tempo), ma i lettori si sentono confortati nel disagio.

In corso di traduzione sono The shifts and the shocks di Martin Wolf (Penguin) e European spring (CB Books) di Philippe Legrain, denunce della lentezza tedesca nell’austerità, con i freni posti alla Bce di Draghi, la vacua burocrazia, l’illusione di troppi cittadini che «si possa tornare come prima». Recensendo Wolf il Nobel Stiglitz scrive: «Si chiude il libro con la preoccupazione» che Europa e Italia siano davvero «nonne» di un passato remoto.

Lo smarrimento percorre anche 1914, Attacco a Occidente di Gian Enrico Rusconi (Mulino, pp. 320, € 24): nessuna mossa nel far scoppiare cento anni fa la Prima guerra mondiale era inevitabile. Egoismi, stupidità, arroganza, avidità, ignoranza scatenano la tragedia ancora aperta, dall’Ucraina al Medio Oriente e la vittima è l’Occidente. Il passato di Rusconi e il presente di Wolf e Legrain fanno paura, servirebbe una nuova politica, responsabile, capace di animare comunità, guardando «ai migliori sentimenti, non ai peggiori istinti» (Reagan, nel suo ultimo discorso). È il manifesto di Anna Ascani, giovane studiosa e parlamentare Pd, nel saggio Accountability, la virtù della politica democratica (Città Nuova, pp. 128, € 12), ma che «accountability», responsabilità credibile, non abbia in italiano traduzione, dice quanto difficile sia il cammino auspicato dall’autrice.

L’era di anarchia senza «accountability», decapitati Isis e ratto delle fanciulle di Boko Haram, spiega il successo della saga di George R.R. Martin Trono di spade (Mondadori). Leggetela, dal primo volume all’ultimo. Spesso il nichilismo del XXI secolo, la guerra di identità arabo-israeliana, il livore nelle nostre università contro democrazia e verità, l’intrigo eletto a codice d’onore, mi portano a pensare che Martin sia cronista perfetto, che racconti del 2014, sceneggiato fra draghi e castelli. La stessa violenza senza speranze, senza Dio e senza idee, anima il ramingo eroe di Lee Child, Jack Reacher (Longanesi e Tea), Odisseo nell’America svuotata dalla fine dell’industria.

Non c’è dunque scampo al nichilismo? Sì. Lo storico Paul Ginsborg, nel suo miglior libro Famiglia Novecento (Einaudi, XXVIII-678, € 35), testimonia come la famiglia – la cui «Morte» fu annunziata da David Cooper nel 1971 per i tipi della stessa editrice - sia invece la forza sociale che, in dittatura e libertà, trasmette affetti, valori, benessere, cultura. Infine, con speranza leggete in tascabile I l bene sia con voi (Adelphi, pp. 253, € 11), reportage 1961 dall’Armenia di Vasilj Grossman. Censurato, licenziato, isolato, la mamma trucidata dai nazisti e gli amici deportati da Stalin, Grossman attraversa le pietraie armene con un umile lavoro – deve tradurre il polpettone di un burocrate locale - ma il suo occhio da cronista, la compassione, la nobiltà d’animo compongono pagine che vi commuoveranno. L’ancestrale saluto dei contadini armeni, che fa da titolo al saggio, sia d’auspicio 2015: «Il bene sia con voi».