Si dice «All’italiana» e non si intende la genialità del chimico premio Nobel Natta, l’eleganza dell’architetto Nervi o i sognanti film di Fellini. 

 No, si intendono salvataggi di aziende decotte, che il salotto buono del nostro capitalismo divide in sigle impronunciabili, accollando i debiti ai contribuenti e i profitti ai soliti noti azionisti. «All’italiana» il candidato senza un curriculum scavalca i meritevoli, in cattedra, in direzione, nei festival canori e in Parlamento, perché difeso dalla sua famiglia, cricca, partito, lobby. «All’italiana» si svaluta la lira per svendere all’estero prodotti mal confezionati, si accumula un debito pubblico a spese dei pronipoti e si cancellano evasioni fiscali e abusi edilizi con condoni, ovviamente, «all’italiana». 

 Poi arrivano l’Europa, l’euro, la globalizzazione, il rigore e «all’italiana» non si può più fare, tocca faticare tutti, aziende, partiti, sindacati, essere originali e perbene, Made in Italy nel senso bello del termine non «all’italiana». Poco a poco, stringendo i denti, ci adattiamo, capiamo che per esportare, brillare, aver successo nel mondo serve «genio italiano» non «furbizie all’italiana». 

 Così un po’ dappertutto, ma nel calcio no, ancora no almeno fino al disastroso Mondiale 2014. Nel calcio usciamo «all’italiana» per la seconda volta di seguito ai Mondiali dopo il 2010, al primo turno, insieme alle squadre «materasso», Australia, Camerun, Bosnia, che almeno corrono, ci provano, non svengono di crampi esangui, come la Francesca Bertini, diva del cinema muto, appesa a una tenda di broccato. Nel 1970 l’Italia arriva in finale con la gloria del 4 a 3 con la Germania passando «all’italiana» il primo turno, vittoria striminzita per 1 a 0 contro la Svezia e due pareggi uno con l’Uruguay, l’altro con il minuscolo Israele. 

 Nel 1982 i campioni di Bearzot debuttano con tre, contestatissimi, pareggi e anche i finalisti di Sacchi nel 1994 passano il primo turno come Cesare Prandelli pensava di riuscire a far ieri, «all’italiana», vittoria, pareggio, sconfitta. 

 Purtroppo, e lo dimostrano i disastri dei nostri club in campo internazionale e la mancanza di stelle italiane del livello di Messi, Ronaldo, Neymar, illudersi in uno squallido Catenaccio 2.0 porta dove siamo finiti, relegati con l’Inghilterra al Club Vecchie Glorie Eliminate. 

 Nel Bar Sport Web, che Rai News elabora via i dati della rete (www.rainews.it), qualcuno dà la colpa all’arbitro messicano Rodriguez, colpevole di aver espulso Marchisio per un fallo forse da giallo, altri schiumano per il morso di Suarez a Chiellini, un rosso stavolta vero a un giocatore recidivo in interventi alla Dracula e battute razziste da Ku Klux Klan. 

 Bar Sport Web dimentica però che lo stesso arbitro ci ha graziato su un possibile rigore di Bonucci e che la squadra azzurra, in due partite ha fatto un solo tiro in porta, uno!, con Andrea Pirlo. Che ieri il migliore in campo sia stato il capitano Gigi Buffon dice tutto: il Tiki Taka presunto è diventato un Ciapa La Bala effettivo, sperare nello 0 a 0, mentre Balotelli conferma i dubbi di Mourinho sul numero dei suoi neuroni quando va sotto pressione e Tabarez schiera tre punte contro una mesta Italia «all’italiana» che non tira, tira a campare. 

 Al Bar Sport Web, al lavoro, in vacanza non ascoltate dunque le scuse «all’italiana», mentre Prandelli e Abete si dimettono insieme (dimissioni vere o posticce?). Usciamo perché in un Mondiale colmo di buon calcio, Olanda, Costa Rica, Cile, e dove anche i grandi stringono i denti vedi Brasile e Germania, i veterani erano spenti, poco da Pirlo, zero da Cassano, e i giovani o gradassi come Balotelli, o timidi come Verratti e Immobile, giustamente rimbrottati da Buffon. Abbiamo adottato il Tiki Taka come un tempo svalutavamo la lira, per furba disperazione, ma la concorrenza dei nuovi mercati – Costa Rica – ha subito visto il bluff. 

 Servirebbero ora una riforma profonda della politica del calcio italiano, dei suoi dirigenti e organigrammi fuori dal campo e una mentalità nuova in campo, come ai tempi di Bearzot, Vicini, Sacchi e del primo Lippi, un bel calcio offensivo eppure prudente, coraggioso eppure efficace. Calcio all’italiana, senza le virgolette di furbizia e opportunismo.